Hpe: la rivoluzione hi-tech si sposta nelle fabbriche

Meg Whitman
Meg Whitman

di Monica Battistoni ♦ Hpe ha creato in Italia un creato un centro di competenza dedicato all’Internet of things. Perché, come spiega il Ceo della branch, Stefano Venturi, è in arrivo un cambiamento radicale che coinvolgerà tutte le strutture produttive. A cominciare da quelle per l’automobile.

Le promesse dell’Internet delle cose sono tante: nuove possibilità di coinvolgere i clienti, modelli di business inimmaginabili, informazioni estremamente dettagliate dei processi esistenti, capacità predittive sul funzionamento delle macchine. Ma per capire che cosa comunicherebbero sensori, dispositivi e applicazioni se parlassero ad altre macchine, ad applicazioni verticali, ad altri sistemi M2M, magari con connessioni diverse a seconda della necessità, ci vorrebbe innanzitutto un lingua comune. È necessario, insomma, uno standard che fa dialogare tutti gli elementi coinvolti e un’infrastruttura che semplifichi la complessità. Per questo nell’economia delle idee promulgata da Hpe, il colosso Usa guidato da Meg Whitman (foto in alto), il valore dell’Internet of things, uno dei pilastri dell’Industria 4.0, risiede soprattutto nella capacità di lavorare sui dati e di arricchirli con gli analytics da usare in applicazioni che consentono alle organizzazioni di trarre valore di business. Ed è anche la funzione della Hpe Universal Internet of Things Platform, una piattaforma progettata per superare gli ostacoli di interoperabilità e interconnessione perché è agnostica a protocolli, dispositivi e connettività: dal monitoraggio dei pazienti a distanza ai contatori smart, alla logistica integrata, tutto può essere collegato con connessioni sicure e dispositivi affidabili. «Chi saprà usare potenza dei dati con il cloud, l’Internet delle cose, i Big Data, avrà a disposizione super poteri senza precedenti», afferma Stefano Venturi, Ceo di Hewlett Packard Enterprise Italia. A patto, certamente, che i dati siano protetti da furti, modifiche e sfruttamento fin dal momento in cui vengono creati. Una sicurezza che continua quando le informazioni sono in transito nella rete, memorizzate negli archivi e utilizzate dalle applicazioni. Non a caso, un pezzo della strategia di Hpe Italia sull’IoT, è l’acquisizione Aruba Networks, società specializzata in infrastrutture wireless di livello enterprise.







Stefano Venturi, ceo di Hpe Italia
Stefano Venturi, ceo di Hpe Italia

New wave

«L’automazione l’intelligenza artificiale non devono suscitare timori, sono un fenomeno inarrestabile, che ovviamente va gestito. Ma se regolato intelligenza, può migliorare notevolmente il modo di lavorare in tantissimi mercati», spiega Venturi. Che aggiunge: «Stiamo assistendo a rivoluzione tecnologica ancora più profonda del world wide web, una rivoluzione che si compie nella disintermediazione dell’accesso ai dati con infinite quantità di informazioni e potenza di calcolo disponibili in modo flessibile e scalabile». E infatti il sistema pay as you go, conosciuto anche come SaaS, Software as a Service, è una delle richieste delle imprese. Nel centro di Cernusco sul Naviglio, a Est di di Milano, dove ha sede Hpe, è stato creato un centro di competenza dedicato all’Internet of things: «Con questa struttura l’Italia è capofila nella ricerca e sviluppo di soluzioni per l’automazione avanzata nel manufatturiero, per aumentare la produttività e ridurre i tempi di fermo macchina, grazie alla manutenzione predittiva». Un esempio di automazione è rappresentato dalla nuova era di auto iper-connesse che è alle porte. Iav, uno dei maggiori fornitori nel settore automobilistico, sta lavorando con Hpe per portare l’industria automobilistica dall’analogico al digitale, costruendo auto migliori e creando nuove esperienze di guida. Concetti come Swarm Intelligence (prende spunto dallo sciame degli stormi per creare un insieme di sistemi robotici) consentirà ai guidatori di avere precise informazioni in tempo reale sulle condizioni stradali e atmosferiche provenienti da altri veicoli che hanno avuto quell’esperienza percorrendo la stessa strada: sapere non solo che c’è una lastra di ghiaccio per terra è già un vantaggio, ma conoscere esattamente in che punto è un servizio è ottimo, e questo si lo si può ottenere semplicemente dalle informazioni fornite dall’automobile appena incrociata. Certo, solo capacità di analisi in tempi velocissimi possono fare di questa fantasia una realtà.

Paga lei, (l’auto)

Ma la macchina potrebbe anche essere in grado di ampliare i pagamenti di beni e servizi e andare ben oltre il pedaggio dell’autostrada. Oppure, beneficiare di speciali tariffe di assicurazione valutate in base all’uso dell’auto, che per alcuni potrebbe essere misurato in tempo e per altri in modo: dal pay-as-you-drive al pay-how-you-drive, che premia i buoni guidatori e penalizza comportamenti distratti o pericolosi. In pratica, la macchina connessa potrebbe diventare più interessante come esperienza grazie a una combinazione di tecnologie, competenze e partnership. L’istituto di ricerca Gartner prevede che entro il 2020, il 70% di tutte le interazioni dei guidatori con la propria automobile sarà digitale. E questa reciprocità, che si può concretizzare con la richiesta di servizi in tempo reale per il veicolo. Per esempio, la prenotazione dal meccanico per la manutenzione porterà a nuovi modelli di business digitale finalizzati a erogare prestazioni già esistenti e nuove. Non sorprende, quindi, che l’aumento di queste tecnologie a bordo e la disponibilità di veicoli connessi stia portando un cambiamento nel modo di fare impresa dei produttori di auto. «Certo queste tecnologie sono disruptive, ossia scombinano i vecchi equilibri e ne creano di nuovi, ma se adottate prima degli altri possono creare nuovi posti di lavoro perché nascono nuove industrie che diventano le capofila di distretti nel loro campo», conclude Venturi.

Automobili interconnesse
Automobili interconnesse

 

 














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