Hpe: così l’industria hi-tech può salvare il sistema bancario italiano

Banca, sportello

di Laura Magna ♦ Le banche sono a una svolta: per affrontare il futuro devono sterzare verso una maggiore digitalizzazione, con soluzioni adeguate al rapido cambiamento tecnologico, spiega Claudio Bassoli, vice presidente della Hewlett Packard Enterprise Italiana.







La banca connessa è l’unico futuro possibile per gli istituti di credito italiani ed europei. Ma The Connected Banking è anche il titolo di uno studio puntuale realizzato da The European House Ambrosetti in collaborazione con Hewlett Packard Enterprise e giunto alla sua seconda edizione: quello che vuole diventare una sorta di osservatorio sul sistema bancario globale. Il messaggio è chiaro: la strada maestra, per non dire l’unica, per restare sul mercato è quella della digitalizzazione. E questo vale in particolare per l’Italia, il cui sistema bancario è al centro di una trasformazione sistemica senza precedenti. “C’è stata la crisi”, spiega a Industria Italiana Claudio Bassoli, vice presidente della Hewlett Packard Enterprise Italiana. “ma c’è anche il fatto che le banche perdono clienti perché i clienti hanno cambiato abitudini e le operazioni tradizionali che erano soliti fare dentro le banche oggi preferiscono farle online. La digitalizzazione è una strada obbligata e consente di focalizzarsi su alcuni obiettivi principali: di mantenere o acquisire le quote di mercato, e di avere una reattività elevatissima rispetto a esigenze dei clienti in rapido cambiamento oltre che alle mosse dei concorrenti che non sono banche tradizionali ma aziende native digitali”. Proprio per questo la trasformazione digitale delle banche deve assolutamente stare nell’agenda del Ceo, perché richiede una metamorfosi del business e coinvolge profondamente il rapporto con i clienti.

Saldare il conto

L’esempio dei pagamenti è illuminante: fino a qualche anno fa la maggior parte veniva eseguita attraverso le banche, “oggi le transazioni si concludono tramite sistemi di pagamento online (come PayPal, ndr) o in modalità miste, per esempio tramite le tabaccherie. Si tratta di due canali diversi dalle banche, che però agli istituti di credito fanno concorrenza. Il primo è un canale che ha Internet nel suo core business, il secondo è un soggetto estraneo sia al mondo digitale sia a quello bancario ma che ha saputo modificarsi e, un po’ come Uber, senza inventare nulla ha creato una struttura digitale capace di rispondere a un’esigenza in un modo in cui il business tradizionale o ha stentato a imporsi o non è arrivato del tutto”, continua Bassoli. Colpa forse di una resistenza al cambiamento che soprattutto in Italia e in particolare in realtà medio piccole, è più forte? “Forse sì, ma le banche come ogni altra azienda devono rispondere al cambiamento perché alla fine devono rendere conto dei risultati agli azionisti. Il rischio, che non si può ignorare, è venire disintermediati dalle aziende native digitali”, sostiene il manager.Bassoli2

Ciao ciao banche

E i numeri, a questo proposito, sono impietosi. Sulle banche italiane, complice la crisi, è proseguito il deterioramento della qualità degli attivi e la riduzione dei margini: il Roe, in particolare, ha assunto valori negativi dal 2011 (-6,4%, il valore minimo dal 2007) al 2014 (-2,2%), per poi ritornare allo 0,7% nel 2015, i numeri peggiori nel contesto europeo. Le previsioni per il biennio successivo indicano un lieve miglioramento, ma siamo ancora ben lontano dai livelli pre-crisi. La necessità di recuperare marginalità ha già spinto le banche verso l’ottimizzazione dei costi e il contenimento della spesa. Considerando il cost-to-income ratio, le nostre banche (con un valore del 64,7% nel quarto trimestre 2015) si posizionano tra quelle dell’Ue-28 con la minore efficienza. Rientrano nel contenimento dei costi operativi anche i processi di razionalizzazione della rete e dell’organico. A fine 2015, si contavano in Italia 654 banche (-124 rispetto al 2004), mentre tra 2008 e 2015 sono stati chiusi oltre 4mila sportelli bancari (-12%). Ma anche l’accesso in filiale si è ridotto del 27% in questo intervallo temporale: nel contempo è cresciuto l’accesso tramite i canali online del 73%.

Trend irreversibile

“Lo ritengo un fenomeno molto diffuso: tutti i clienti sono sempre più orientati verso il digital”, nota Bassoli. Il recente aggiornamento elaborato da Cap Gemini sugli high net worth individuals, i ricchi del mondo, lo rilevava. Per i milionari under 40 che nella scelta dell’istituto a cui affidare i propri patrimoni considerano la quota di servizi digitali come un elemento discriminante: “Ritengo che si tratti della punta di un iceberg: moltissimi clienti hanno un rapporto di multicanalità con la banca, molto di quello che era svolto allo sportello oggi avviene tramite strumenti digitali, indipendentemente dal patrimonio, dall’età e dal profilo di rischio dell’utente”. Insomma, una rivoluzione pervasiva e inarrestabile, che è già nelle cose. E chi cerca di sottrarsi è perduto. Tanto che la stessa Hpe, attiva da 50 anni in Italia e che offre soluzioni che spaziano dal cloud, al data center, fino alle applicazioni per il lavoro in mobilità, con un fatturato globale di oltre 50 miliardi di dollari, si sta giocando il suo futuro su questa trasformazione digitale, che riguarda le banche e la società tutta. “Abbiamo dato vita a sistemi aperti che abbattono i costi di gestione per la banca e consentono di usare gli investimenti nello sviluppo dell’innovazione”, spiega il vice presidente del colosso It. “Questi sistemi aperti consento di configurare i data center non sui picchi ma sulle medie, e di avere una circolarità dei dati. I data center delle banche hanno storie decennali, il nostro lavoro è, sostanzialmente, quello di affiancare le aziende nel processo di trasformazione, che ormai richiede anche un effort nella mobilità, con l’uso pervasivo degli smartphone. Noi lavoriamo con una rete di partner in Italia ed Europa per costruire le soluzioni cliente per cliente”. 

Per adeguarsi al mondo digital, l’investimento non è proibitivo. “Le infrastrutture sottostanti a questo mondo digitale, in particolare quelle open, non hanno barriere all’ingresso a scaloni”, spiega il manager di Hpe. “Questo consente anche a piccole e medie banche o a aziende di altro tipo di entrare nella catena dei servizi con investimenti bassi o proporzionati al numero di clienti che contattano. Si tratta di una ulteriore sfida: prima solo le grandi banche potevano accedere a queste piattaforme, oggi la barriera all’ingresso è semmai la conoscenza, l’adeguamento dei processi alle piattaforme digitali, che è la vera sfida per chi fa questo mestiere da anni e ha architetture fatte di processi manuali e analogici”.

Le aree su cui innovare
Le aree su cui innovare

Poca innovazione dietro lo sportello

Le banche italiane dal 2007 al 2014 hanno ridotto gli investimenti in It del 21%. “Dallo studio condotto con Ambrosetti è emerso che il 63,4% dell’investimento complessivo va nella gestioni di sistemi che sono già presenti nelle banche e solo il 36,6% va in innovazione”, continua Bassoli. “La trasformazione attuale non richiederà investimenti superiori anche perché implicherà innanzitutto la riduzione dei costi in altre attività: ci sono sistemi che abbattono del 90% il consumo elettrico e di condizionamento. Va tenuto in considerazione cosa consente di risparmiare la trasformazione digitale”. Quello che “costa”, non necessariamente in termini economici, è un necessario cambiamento di cultura. Una rivoluzione copernicana che deve coinvolgere anche e soprattutto le persone. “Investimenti, ridisegno delle banche al digitale e formazione delle persone all’interno delle banche: se manca uno di questi tre elementi, la metamorfosi non può avere successo”. 

Su che cosa puntare

Ci sono alcuni ambiti-chiave per accelerare la digitalizzazione del settore: l’adozione di politiche open per i processi di digitalizzazione, un forte presidio della Cyber Security, un ruolo proattivo nel promuovere l’alfabetizzazione digitale dei clienti, l’accelerazione sulla migrazione delle infrastrutture legacy verso piattaforme digitali open di nuova generazione, anche utilizzando le opportunità dei Big Data Analytics, e la creazione di piattaforme federate su servizi critici digitali per generare economie di scala e promuovere le sinergie. “Le banche piccole e medie hanno grandi sfide davanti a sé, sia per i fattori macro che per quelli regolamentari”, continua Bassoli. “Ma se le piccole sapranno aggregarsi per condividere le soluzione tecnologiche di digitalizzazione già disponibili e sapranno sfruttare l’assenza di barriera all’ingresso, possono avere una loro dimensione critica e competere con le grandi banche. Se non lo fanno avranno una vita molto difficile”.

La sede di Hpe a Cernusco (Milano)
La sede di Hpe a Cernusco (Milano)

Più efficienza uguale a meno costi

Gli impatti sul business sono di molti tipi e riguardano il miglioramento dell’efficienza: “Innanzitutto dal punto di vista industriale, creando efficienza nei processi, con la digitalizzazione di quelli che sono ancora manuali e ottimizzando il personale a fare produzione e non attività di back end. Oltre che attraverso la razionalizzazione delle rete e dei canali con cui mi approccio ai clienti”, spiega Bassoli. Questo porta a un’efficienza commerciale: il rapporto con i clienti diventa immediato, posso lanciare prodotti nuovi in tempi rapidi e business adiacenti a quelli tradizionali della banca. “La terza leva e, a mio avviso, la più importante è quella dell’efficienza strategica: la digitalizzazione mi permette di avere un’intelligenza all’interno della banca grazie a cui posso conoscere in modo puntale e preciso ogni cliente e le sue esigenze. Posso prendere tutte le informazioni che sono in silos diversi e avere una vista complessiva del mio cliente individuale. In questo modo grazie ai sistemi di Big Data Analysis è possibile creare servizi migliori incrementando il livello di competitività. Le banche, nonostante tutto, godono ancora di molta fiducia da parte dei consumatori e su questo posso fare la leva per orientare il proprio futuro”, conclude Bassoli.














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