Frendy: energia verde dall ‘ irrigazione

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di Bruna Rossi ♦ Una vera industria 4.0: perché innova non solo nel suo settore di attività ma perché si basa – in maniera davvero estrema – sul concetto di rete. È Frendy Energy, che costruisce impianti per la produzione di energia idroelettrica sfruttando i piccoli canali irrigui disseminati nelle campagne.

La sua fortuna è disseminata nelle campagne italiane (principalmente al Nord, tra Piemonte e Lombardia); è l’unica società quotata in Borsa al mondo a non aver dipendenti a libro paga; è stata la prima ad aver emesso un bond zero coupon già imitato da altre realtà; è una delle poche società operanti nell’energia ad avere cassa anziché debito, in un settore dove rientrare degli investimenti richiede tempi lunghissimi. E tutti questi traguardi, che l’amministratore delegato Rinaldo Denti racconta a Industria Italiana, li ha realizzati in soli dieci anni di vita.







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Rinaldo Denti, Amministratore Delegato Frendy Energy

  Il Mini-Hydro

Lontanissima dal tipo di micro-impresa familiare chiusa all’esterno, come è tipica del Paese, Frendy nasce nel 2006 dopo che Denti, che  conta nel suo ricco curriculum  la creazione di D-Mail e  una carriera  da broker sui mercati alternativi (oltre che una parentela con uno dei fondatori della Sorin Biomedica, il padre Ennio Denti,  che negli anni ‘70 produceva valvole cardiache), decide di cambiare completamente strada. E di lanciarsi nel mini-idrolettrico. Di produrre cioè energia elettrica sfruttando i salti dei canali irrigui: piccoli dislivelli nel terreno, da uno e tre metri e mezzo, percorsi dall’acqua. Una turbina giustapposta alla base del salto sfrutta la forza dell’acqua e la trasforma in energia elettrica: il Miny-Hydro.

L’attività ha come centro principale le province di Novara e Pavia dove c’è un’ alta concentrazione di canali irrigui regimati e di salti su corsi d’acqua di medie e piccole dimensioni non ancora sfruttati. In un settore in cui la vicinanza al territorio è vitale, questi primi impianti sono considerati tutti dei validi esempi di come realizzare energia idroelettrica nelle situazioni più impossibili, una vetrina da esibire al mondo per esportare il proprio know-how acquisito in una nicchia poco presidiata.

 Il recupero di un mulino

«Nel 2002 un amico mi parlò di un impianto in vendita nelle valli del Piemonte – racconta l’amministratore delegato – era già ben avviato il primo piano di incentivi nel mini-idroelettrico con i certificati verdi, ma per realizzare un impianto da zero sono necessari dieci anni. Troppi. Avevo quasi rinunciato quando scoprii che nel 2006 in Finlandia era stata inventata una tecnologia per sfruttare i piccoli canali irrigui. L’Italia ha una rete irrigua immensa, la più importante di Europa. In un paio di anni  sarebbe stato  possibile realizzare una quantità infinita di impianti.

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Turbina Frendy Energy

Questa scalabilità mi ha entusiasmato e sono volato in Finlandia per studiare la tecnologia,  che ho acquistato in esclusiva per il primo impianto che ho costruito nel Mulino di Marano nel Parco del Ticino. Risultato: siamo riusciti a produrre 100 kilowattora. Il nostro obiettivo di partenza era  50. Oggi abbiamo 15 impianti, e ne abbiamo venduti 5 per razionalizzare il debito di 18 milioni di euro e siamo tornati in positivo». Una situazione finanziaria probabilmente unica nel settore della produzione di energia, dove tipicamente gli investimenti che richiedono molto tempo per rientrare e una certa quantità di debito – compensata dal valore degli asset – è fisiologica.

  Zero debito e zero struttura

Ma nel caso di Frendy    sono molte le anomalie. A partire dal modello di business,  solo per citare la più evidente. La strategia di Denti è chiara quanto semplice. Per  produrre turbine si allea con il gruppo Scotta che delle turbine è leader assoluto: «Con loro, entrati nel capitale di Frendy con un 8% nel 2012, abbiamo realizzato un’evoluzione della turbina finlandese, la Sommersa, per ottimizzare gestione e costi. Il prodotto testato sul campo per due anni è una barriera all’ingresso per potenziali competitor.

Nel frattempo abbiamo anche inventato uno sgrigliatore, il Frendy Boom, per bloccare i rifiuti che vengono lasciati nei canali, anche questo in partnership con un’azienda leader nel   settore, la piacentina AirBank, e con un team di lavoro composto da tesisti della Facoltà di  ingegneria dell’Università di Pavia. Un team  ha lavorato per sei mesi sulla  messa a punto di tutti i dati tecnici. Questi  sono stati passati ad AirBank che  si occupa anche della distribuzione: noi contribuiamo allo sviluppo dell’idea e raccogliamo una percentuale sulle vendite. Il tutto è stato  possibile grazie a un Cda molto in gamba tutto terziarizzato: per andare nella direzione 4.0 è richiesta capacità organizzativa e di reperire capitale. Un po’ come l’auto che guida sempre più da sola: sembra quasi impossibile ma sta già accadendo».

  La prima quotata su AIM

E questa struttura leggera non ha impedito a Denti di portare la sua creatura in Borsa: anzi su AIM è stata la prima a quotarsi il 22 giugno del 2012. «D’altronde negli anni Ottanta mi occupavo di Terzo Mercato – dice Denti – una sorta di AIM antesignano, dove si quotavano le piccole aziende. Non funzionò: il Terzo Mercato divenne Expandi, poi Mac, poi AIM Mac: tutti esperimenti naufragati. Oggi in questo clone dell’AIM londinese crediamo molto e capendo l’importanza della finanza non abbiamo avuto alcun dubbio a quotarci primi in assoluto, con un fatturato di un milione (oggi il giro di affari sfiora i 4 milioni): ad oggi siamo cresciuti del 200% sul listino e dal 2013 distribuiamo agli azionisti dividendi dell’ordine del 20-25%.

E pur con tutti i suoi difetti, in termini di mancanza di incentivi fiscali e liquidità questo mercato potrebbe fare la differenza anche in vista della fusione imminente tra Borsa di Londra e Francoforte. Anzi, è l’unica grande possibilità di ripresa che abbiamo». Perché, come rileva ancora Denti, «il cruccio della finanza italiana è che nel 1960 avevamo 200 aziende quotate, oggi siamo sempre su quell’ordine di grandezza, a circa 260. Negli Usa invece siamo passate da 800 a 7mila. Si cita spesso il dato secondo cui la ricchezza americana sia in mano all’1% della popolazione, ma mai che di questo 1%, l’80% è quotata in Borsa. Senza la Borsa in Usa l’industria non esisterebbe, non sarebbe mai nata Google».

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Frendy Energy, prima quotata all’AIM

 Il legame con la borsa

D’altronde il legame tra mondo dell’elettricità e Borsa  è una tradizione affermata nel Belpaese. «Se guardiamo alla storia della Borsa italiana scopriamo che è nata per finanziare l’energia idroelettrica – dice Denti -; società come Dynamo ed Edison, o la Mittel nata per finanziare la nascita della corrente elettrica. Tutte società che nel periodo della nazionalizzazione, quando Enel che ha fatto sua la Rete strapagandola e inondando il settore di liquidità, si sono trasformate in finanziarie. Il capitalismo italiano nasce con l’elettricità».

 Incentivi maturi

Verrebbe da pensare che comunque questo business sia fragile essendo basato su un sistema di incentivi, il che richiama alla mente il fotovoltaico, drogato da tariffe gonfiate e miseramente imploso con la fine degli incentivi. «Ma gli incentivi del mini-hydro nascono negli anni ‘80 e hanno prezzi di un mercato maturo: tra i 12 e 20 centesimi, al massimo, contro i 40 con cui veniva pagata l’energia solare – spiega Denti – Nel periodo di follia del solare il nostro incentivo aveva una durata di 15 anni. Ora è stata portata a venti: si tratta di un settore consolidato su cui si basa la maggior parte di energia rinnovabile prodotta in Italia».

Venti anni sono un tempo lungo. E poi esiste una seconda tariffa incentivata che risponde al nome di RID , che è quasi il doppio di quella di mercato, riservata agli impianti che producono fino a un milione e mezzo di kilowattora e che copre quindi la maggior parte degli impianti in dotazione  (che vanno da 500mila a 5 milioni). «Gli impianti sono tutelati perché consentono di ottenere diversi benefici: recupero di mulini abbandonati, radicazione sul territorio, basso impatto ambientale», afferma Denti.

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Lo sgrigliatore Frendy Boom

 Crescere per aggregazione

La prossima tappa? «Crescere per aggregazione con altre realtà simili, mi viene in mente il nome di Iniziative Bresciane per affinità – dice a Industria Italiana Denti -. Con una soluzione di questo tipo potremmo far gola a un colosso da cui ci faremmo acquisire: questo sarà il mio obiettivo dei prossimi due o tre anni .Il modello di business  si presta – prosegue Denti – e siamo nati per aggregarci con chi è più grande di noi. Per i cinque impianti venduti di recente abbiamo ricevuto la manifestazione di grande interesse da parte di un grande operatore come BKW che produce in un’ora quello che noi facciamo in un anno .Oggi l’interesse-conclude l’AD – è molto anche perché il possesso di mini-impianti dà punteggio ai colossi nelle gare. E cresce l’interesse anche da parte di piccoli investitori che hanno la possibilità di mettere sul piatto della bilancia da uno a tre milioni di euro visto che si tratta di qualcosa che rende il 10%. Credo che il nostro percorso sia di fonderci con una società simile a noi per poi diventare parte di una realtà più grande».














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