Esiste una roadmap verso la fabbrica intelligente e interconnessa?

di Filippo Astone e Laura Magna ♦ Smart Factory o Fabbrica 4.0. Comunque la si chiami, è l’unione fra information technology e automazione, in totale interconnessione con tutto il resto del mondo. Bisogna arrivarci per forza. Ma come? Ecco alcuni percorsi strategici suggeriti da KPMG

Chiamiamola smart factory, visto che 4.0 ormai è inflazionato. Qualunque nome le si voglia dare, la fabbrica intelligente, automatizzata e interconnessa è un punto di arrivo obbligato. Non solo perchè offre vantaggi evidenti e quantificabili. Ma anche perché tutto il mondo va in quella direzione: bisogna seguirlo, se non si vuole rimanere esclusi, e quindi fallire. La fabbrica dei prossimi anni, insomma, o sarà smart oppure non esisterà.

Ma la smart factory non è solo un obbligo. Sembra anche molto conveniente. I numeri che lo dimostrerebbero (il condizionale e’ dovuto, trattandosi di proiezioni) sono sintetizzati in uno studio di Bank of America: entro il 2025, il 45% delle operazioni in fabbrica verranno eseguite da robot e strumenti di automazione avanzati, il cui costo si è ridotto del 27% negli ultimi 10 anni. Grazie a questo incremento in robotica, la produttività aumenterà del 17% e i costi industriali si ridurranno tra il 18% ed il 33%. Come si è detto, i numeri di Bank of America vanno presi con beneficio di inventario, trattandosi di proiezioni per il futuro. Ma gli ordini di grandezza sono realistici. E comunque, anche gli altri studi attualmente in circolazione fanno proiezioni con numeri simili .







Carmelo Mariano(KPMG)
Carmelo Mariano, consulente KPMG Advisory

 Ma come si fa a traghettare le proprie fabbriche e la propria organizzazione aziendale verso la smart factory? Esiste una roadmap? Industria Italiana ne ha parlato con  KPMG Advisory, attraverso una approfondita intervista con Carmelo Mariano – uno dei consulenti della sede italiana che se ne occupano maggiormente – e una lettura selettiva di un approfondito studio condotto da Kpmg a livello mondiale e intitolato “The factory of the future”.

le aziende smart pensiero

 La smart factory crea valore economico. Purche’ si investa

La smart factory,  aumenta la produttività, e quindi gli utili da distribuire agli azionisti. E anche, magari, lo stipendio e i bonus del top management. Per questo, il top management delle aziende industriali ci crede molto. «Abbiamo fatto una survey globale su un campione rappresentativo di aziende, circa 200, diverse per settore e dimensione, scoprendo che più del 50% ritiene che nell’industria 4.0 ci sia l’opportunità di rivitalizzare il business», dice Carmelo Mariano di KPMG   Advisory.

Driver cambiamento

 «In buona sostanza c’è la consapevolezza di come le aziende industriali stiano attraversando un grande cambiamento, che le porrà in condizione di affrontare le sfide attuali. Un cambiamento che risponde ai nomi di smart innovation, smart mobility, connetted supply chain, smart building e smart government. Molto più che slogan, sostanza: le aziende devono produrre lotti più piccoli e prodotti sempre più personalizzati; tutto diventa smart, anche il packaging, e ovviamente le linee di produzione devono diventare sempre più modulari e flessibili, e la complessità deve essere gestita».

Le aziende, secondo la Survey KPMG , sono consapevoli della necessità di questa trasformazione, con il 40% del campione che ritiene che industria 4.0 avrà un forte impatto sulla organizzazione del proprio modello di business, e con il 43% che pensa ci sia una strategia coerente con questa rivoluzione. Tuttavia molte imprese non sono conseguenti sul piano pratico: ben il 42% ritiene di non avere talenti e capacità necessarie per capitalizzare il potenziale di industria 4.0.

 

quali investimenti

Tutta questa trasformazione è possibile solo a patto che si investa. La smart factory non è gratis, almeno non nei primi anni, quelli in cui viene richiesta nuova information technology, nuovi robot e, soprattutto, nuova organizzazione. E riorganizzare costa. «Chi vede le opportunità, però, inizia a investire – dice Mariano – attualmente il 26% investe in realtà aumentata, il 38% in intelligenza artificiale, il 44% in IOT, il 46% in stampa 3D e il 49% in robotica. Nei prossimi 3 anni aumenteranno in particolare le aziende che investiranno in intelligenza artificiale (41%) ed in realtà aumentata (28%). Il 10% di tutti gli investimenti sono in industria 4.0».

Il calo degli investimenti (e qui siamo noi di Industria Italiana a farlo notare e non KPMG ) durante la crisi è stato un problema drammatico in Italia. Per ogni punto percentuale di PIL perso, gli investimenti si sono ridotti del doppio. In media, il parco macchine delle aziende italiane è vecchio di quasi 11 anni. Ci sono aziende che ancora usano macchinari vecchi di 20, persino 25 anni. E all’inizio del 2017, nonostante le notevoli facilitazioni fiscali del Pacchetto Calenda per l’Industry 4.0 (alcune stime arrivano addirittura a calcolare che gli incentivi fiscali possano coprire, nel tempo, fino al 60% dei costi sostenuti), i dati sulla produzione industriale e altri indicatori non mostrano particolari scatti in avanti dal punto di vista degli investimenti.

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”Nei prossimi 3 anni aumenteranno in particolare le aziende che investiranno in intelligenza artificiale (41%) ed in realtà aumentata (28%). Il 10% di tutti gli investimenti sono in industria 4.0„

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Si spera che   il Pacchetto  Calenda dispieghi i suoi effetti  nei mesi successivi e, soprattutto, che gli imprenditori trovino maggiore fiducia nel futuro e maggiore coraggio. Comunque sia, siccome le statistiche sono fatte di medie, non manca, neanche ora (e non mancò nemmeno negli anni più bui della crisi) una pattuglia, un’avanguardia, di coraggiosi che continuano a investire. Sono loro, in particolare, a tenere in piedi l’industria italiana. E a consolidare i suoi primati, molti dei quali, nonostante tutti i problemi, continuano a essere tali.

Modo lavorare

 It e automazione diventano una cosa sola

Nella smart factory, IT e automazione saranno una cosa sola. «Smart Manufacturing è l’integrazione di tutte le divisioni aziendali e della catena del valore ottenuta grazie alla digitalizzazione», spiega ancora Carmelo Mariano, «Nella fabbrica del futuro Information Technology e automazione saranno completamente integrate: gli impianti e i materiali verranno dotati di sensori per identificarli e rilevarne la posizione e lo stato; i dati saranno analizzati in tempo reale per monitorare il processo produttivo; i robot saranno progettati per supportare i lavoratori; tutte le risorse produttive saranno interconnesse su reti intelligenti e interoperabili. Anche le divisioni non strettamente produttive, come R&D, vendite, partner, fornitori, produttori e clienti, saranno connesse e comunicheranno attraverso un unico sistema digitale. In questo modo l’intero processo produttivo viene gestito e monitorato in tempo reale».

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”La transizione verso la smart factory è l’unico modo per rimanere al passo con una domanda sempre più mutevole ed esigente, cicli di vita dei prodotti ridotti e tempi di produzione e logistica ristretti„

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Tutto ciò in un mondo sempre più orientato a seguire i desideri del cliente, che vuole prodotti costruiti su misura per lui, magari uno diverso dall’altro. La cosiddetta “personalizzazione di massa” è uno degli imperativi categorici del mondo 4.0, insieme al just in time e alle scorte zero. «La transizione verso la smart factory è l’unico modo per rimanere al passo con una domanda sempre più mutevole ed esigente, cicli di vita dei prodotti ridotti e tempi di produzione e logistica ristretti», spiega ancora Carmelo Mariano, «L’evoluzione verso nuovi modelli di business sempre più customer-driven pone nuove sfide per le aziende manifatturiere. Bisogna, però, superare le barriere che possono derivare da una limitata maturità e diffusione delle tecnologie digitali in fabbrica».

Quando parliamo di industria 4.0, indichiamo un sistema in cui si passa dalla rigida gestione centrale alla delocalizzazione delle intelligenze. Al centro ci sono i sistemi di produzione cyber-fisici (Cyber-Physical Systems CPS), ovvero macchine intelligenti, connesse a internet, in grado di interagire sia tra di loro sia con gli esseri umani, di scambiare in tempo reale informazioni e organizzare la produzione automaticamente e autonomamente, monitorando nel contempo anche aspetti come la sicurezza e l’efficienza energetica. Il fattore abilitante della smart factory, insomma, è la rete.

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I segreti della smart factory: evoluzione e convergenza

Sul tema, come si diceva all’inizio, Kpmg ha di recente pubblicato “The Factory of the future”, una sorta di guida verso la transizione 4.0. Per Kpmg, a monte della quarta rivoluzione industriale, come in fondo di ognuna delle precedenti tre rivoluzioni, ci sono due concetti fondamentali: evoluzione e convergenza. L’evoluzione riceve costantemente impeto dalle innovazioni tecnologiche pionieristiche. Il motore a vapore o la plastica, per esempio, hanno tracciato la strada delle rivoluzioni industriali che ne sono seguite. La convergenza descrive invece la fusione in un’unica industria di strutture, tecnologie, metodi e soluzioni nati separatamente, fusione che crea più efficienza e maggior valore aggiunto. Questo processo, a ogni rivoluzione industriale, ha gettato le basi per la rivoluzione successiva, a partire dalla seconda. La quarta rivoluzione industriale è dunque un prodotto della terza.

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”Oggi, con l’integrazione di software e hardware nel flusso dei processi, i mondi fisico e virtuale si fondono e consentono di effettuare la produzione„

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KPMG la spiega così: «la forza trainante dietro la terza rivoluzione industriale è stata l’information technology – scrivono gli analisti della società di consulenza – Oggi, con l’integrazione di software e hardware nel flusso della produzione, le imprese industriali stanno iniziando a digitalizzarsi. I mondi fisico e virtuale si fondono e consentono di effettuare la produzione, ma anche tutto ciò che attiene alla logistica, su basi decentralizzate e in tempo reale”. Lo Smart Manufacturing porta i concetti di evoluzione e convergenza a un livello estremo quando produce la fusione tra mondo reale e virtuale.

PercorsoIndustry

 Definire un percorso per arrivare alla smart factory

Ma come si arriva alla smart factory? Difficile definire un percorso standard. Ogni azienda è una storia a sé, perché in campo ci sono diverse situazioni dal punto di vista delle risorse disponibili, del parco IT e robot, delle finalità, dell’organizzazione. E la transizione è lunga, e deve essere progressiva (a questo proposito vedere anche questo articolo di Industria Italiana sulla transizione di Ima allo smart manufacturing ). Ci sono piuttosto dei passaggi organizzativi generali, intorno ai quali ogni azienda deve costruire la sua roadmap.

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 In ogni caso è importante aver chiaro che cosa è davvero la fabbrica 4.0. «Molte aziende pensano che smart manufacturing sia l’ IoT o la stampa 3D, ma non è così. Non è un prodotto, ma un processo», afferma Mariano, « Il punto di partenza è accettare questo concetto di base: lo Smart Manufacturing è una piattaforma integrata di tecnologie, da quelle di produzione (Operational Technology: robotica, stampa 3D, MachineToMachine, ecc.) alle soluzioni IT (cloud, D&A, cyber, IoT, ecc.). L’implementazione della tecnologia, motore di questa rapida trasformazione nei prodotti e nei processi produttivi, non basta. Occorre saper combinare le diverse leve abilitanti per cogliere il vero potenziale dell’innovazione digitale».

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”Molte aziende pensano che smart manufacturing sia l’ IoT o la stampa 3D, ma non è così. Non è un prodotto, ma un processo„

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Quindi, dalla teoria alla pratica, il percorso è complesso. Le aziende che vogliono iniziare questo percorso devono affrontare diversi passaggi. Per esempio, la molteplicità di interlocutori con cui si devono interfacciare, ognuno dei quali porta la propria offerta non necessariamente coerente con le altre, dalle grandi multinazionali dell’Operating Technology, ai software vendor, ai progettisti di impianti e general contractor, fino agli operatori specializzati in nicchie di mercato. «Percorso complesso anche perché», prosegue Mariano, «non c’è un quadro condiviso e standardizzato di riferimento. Non è come in altre soluzioni, dove esistono best practice».

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Non tutte le aziende sono giunte allo stesso livello di maturità, alcune sono più pronte, altre meno. E, a seconda del settore, cambiano anche le motivazioni per andare verso lo smart manufacturing. Ecco le principali:

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                                             I motivi per andare verso la smart factory

Riduzione costi

E’ il principale driver nei settori “capital intensive” interessati a ridurre i costi di produzione e di impianto. Ad esempio i minerari, la metallurgia, l’acciaio.

Maggiore flessibilità

Settori con un ampio portafoglio di prodotti e cicli di sviluppo rapidi e che si accorciano sempre di più. Come l’automotive, la chimica, la carta, la plastica, la meccanica.

Maggiore output

Settori che producono commodities e ricercano una maggiore resa dai propri impianti. Come legno, agricoltura, cemento, plastica.

Più precisione

Settori in cui R&D e Operations beneficiano della disponibilità di un ampio data set e di tool di analisi. Come il farmaceutico e l’elettronica.

Personalizzazione per ciascun cliente

E’ il driver nei settori interessati a fornire prodotti e esperienze di acquisto “su misura” per i propri clienti. Come l’abbigliamento, la produzione di mobili ed oggetti di arredo, il food.

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 Uscire dalla fase sperimentale

Ogni azienda dunque si vede costretta ad elaborare un proprio percorso. Questo è ancora più vero per le aziende che operano in un contesto industriale, come quello italiano, caratterizzato da scarsa conoscenza dal fenomeno dello Smart Manufacturing, dalla sua dimensione ridotta, da una scarsa maturità digitale rispetto a quella di altri Paesi e dall’incapacità di andare oltre la fase sperimentale. In Italia, dunque, si registra ancora un ritardo sul piano dell’Industry 4.0, a causa soprattutto della mancanza di informazioni e visibilità sull’intera supply chain, della scarsa performance dei fornitori, dell’inadeguatezza dei sistemi IT e della mancanza di competenze.

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”È un percorso complesso perché non c’è un quadro condiviso e standardizzato di riferimento. Non è come in altre soluzioni, dove esistono best practice„

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KPMG  può contribuire a colmare questo gap, accompagnando le aziende in un percorso non facile: “È un cambiamento di pelle e di mentalità e ogni azienda deve definire un proprio tragitto per orchestrare tutti queste soluzioni in modo da trovare cosa sia meglio per la propria attività”. Superando anche il problema della visibilità: il 40% degli intervistati dice di non averne su quello che accade in fabbrica o sulla filiera, il che rende il percorso difficile e lungo.

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Industrie italiane: appunti per una possibile roadmap verso la smart factory

E finalmente arriviamo, con l’aiuto di Carmelo Mariano, a una roadmap. Consideriamola tenendo presente che i vari passaggi non sono in rigida sequenza temporale una dall’altra, e per questo li abbiamo indicati con delle lettere e non con in numeri. Una piccola avvertenza prima di iniziare: per consentire maggiore leggibilità, sotto ogni titolino, non abbiamo messo le virgolette di Carmelo Mariano. Ma è come se ci fossero.

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 A) Consolidare e arricchire la base tecnologica esistente

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Dal punto di vista delle tecnologie (IT e automazione) e degli investimenti in Italia esista un ritardo rispetto alla media europea. Ritardo che non risiede solo nell’immaturità del sistema, ma che si spiega anche con la prevalenza di piccole imprese che, in quanto tali, non hanno la massa critica necessaria per importanti investimenti in tecnologie e innovazioni. A ciò si unisce l’atavico problema della carenza infrastrutturale in termini di banda larga. Dobbiamo essere consapevoli che ci sono queste pecche, al di là delle eccellenze che per fortuna tengono in piedi il sistema.

Questo significa che ci sono dei passi obbligati da fare, e possibilmente in fretta. Bisogna partire consolidando la base tecnologica esistente. Ammodernare il parco macchine e sistemi IT per costruire la base su cui innestare un percorso di innovazione. Parliamo di industria 4.0 ma ci sono ancora aziende con sistemi di IT obsoleti e in cui gira tanta carta. Va dunque completato il processo di digitalizzazione allineando impianti e dotazioni ai criteri di Industria 4.0.

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B) Definire un percorso di ‘upgrade’ e metterlo in pratica con estrema rapidità. Anche con l’aiuto della consulenza strategica

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Occorre aumentare la consapevolezza delle aziende rispetto al punto di evoluzione in cui si trovano e dunque rispetto alla propria maturità. Prima di fare il necessario salto quantico, le imprese devono capire dove sono e definire un percorso, una strategia. In questo passaggio può essere determinante il supporto da parte di consulenti strategici esperti e senza conflitto di interesse. Il consulente strategico può fornire all’impresa priva di competenza e di esperienza il punto di vista di chi ha vissuto la realtà di decine, o centinaia, di situazioni aziendali.

Michele Parisatto
Michele Parisatto, AD KPMG Advisory in Italia

Inoltre, il consulente strategico – privo di conflitti di interesse – può aiutare l’imprenditore e il management a districarsi tra la massa di offerte di hardware e software vendor, che potrebbero essere più interessati a vendere i loro prodotti e servizi che non alla creazione di valore da parte dell’azienda cliente. In generale, la complessità del mondo interconnesso rende cruciale e ancora più importante il ricorso alla consulenza strategica. Su questo, Industria Italiana ha pubblicato un articolo con le considerazioni proprio di Michele Parisatto,  numero uno di KPMG  Advisory in Italia.

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 C) Superare ‘con coraggio’ la fase delle sperimentazioni per passare alla fase esecutiva

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Basta con le sperimentazioni! Dopo aver capito dove ci si trova e definito un percorso bisogna agire! Per farlo servono competenze, che se mancanti, devono essere create attraverso investimenti in formazione. Ma anche, ridisegnando le strutture organizzative e operative e rivedendo la value chain.

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D) Colmare il gap di competenze, anche con investimenti in formazione

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La smart factory richiede competenze nuove. E’ un approccio complesso che – prevedendo la fusione di tecnologie e applicazioni prima non connesse – comporta skills interdisciplinari con uno spettro amplissimo. Del resto la smart factory, come si è detto, è il risultato di una rapida sequenza di convergenze: a iniziare da IT e telecomunicazioni che si fondono in ITC. Per continuare con il merger tra ITC e micro sistemi, cioè le reti di sensori, attuatori e processori di dati.

KPMG classifica le competenze necessarie per industria 4.0 in tre ampi blocchi: un primo blocco fatto da esperti di tecnologia della produzione e logistica; un secondo blocco di esperti di hardware; un terzo blocco di specialisti del software. «Molti dei mattoncini necessari per industria 4.0 sono già disponibili – scrivono gli autori del report – come i sensori digitali e gli elementi di controllo (gli attuatori), il cloud computing, le interfacce uomo-macchina, le soluzioni integrate di software e le reti di comunicazione industriale. Quello che manca sono gli standard».

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E) I cluster tecnologici, sul modello dei distretti industriali, possono accelerare la trasformazione

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L’ultimo punto è che siamo in un contesto di PMI che non sempre possono avere risorse e competenze per seguire questo percorso. La creazione di cluster tecnologici, o il ricorso a quelli esistenti, potrebbe consentire l’uscita dall’impasse. Il cluster tecnologico è un modo per aggregare, su una certa base territoriale, un ecosistema di aziende con startup, università, centri di ricerca, centri di servizi. Si mettono a fattor comune know-how e si incentivano una serie di iniziative innovative. In pratica, il cluster tecnologico reinterpreta in chiave 4.0 i distretti industriali che sono stati il traino del sistema economico italiano.

A di là di qualche azienda prima della classe che fa da pioniera, è il contesto generale che va rivoluzionato. Per rilanciare la competitività, ridurre i costi, essere più efficienti, e conservare un vantaggio competitivo rispetto ai Paesi low cost, perché se anche loro puntano su queste competenze il gap diventa più ampio. Noi abbiamo una delle principali manifatture al mondo, fare questo percorso è fondamentale e indispensabile per continuare a essere visti come eccellenza nel mondo.

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                                          I ruoli: che cosa deve fare il top management

CEO, Chief Operating Officer (amministratore delegato). E’ il timoniere strategico: colui che come imprenditore sa quali sono le necessità del mercato che attiene all’azienda che guida. A lui spetta il compito di fare da propulsore di tutte le idee che realizzano l’industria 4.0, e a lui sono richieste competenze nello sviluppo di mercato, attraverso la definizione del prodotto e, soprattutto, delle strategie di produzione. Deve essere attento alle richieste dei clienti e alle domande degli azionisti. E sapere che i cicli di innovazione e i tempi di consegna richiedono la maggior flessibilità possibile, che può essere realizzata solo attraverso l’integrazione di tutti processi coinvolti.

COO, chief operating officer (direttore generale). E’ coui che deve rendere operativa la strategia dell’industria 4.0 e coordinare la gestione del progetto.

CFO, chief finance officer (direttore finanziario). Big data, analytics e in generale sistemi di controllo digitale a valore aggiunto cambiano il suo lavoro. Infatti, la disponibilità di dati in tempo reale e di strumenti di valutazione potenti offrono a questo manager una base importante per prendere decisioni. Altri temi nella competenza del CFO sono la pianificazione strategica dell’investimento in prodotti e servizi compatibili con l’industria 4.0; l’identificazione delle esigenze future di capitale e della liquidità; lo sviluppo di strumenti per misurare l’aumento della produttività; la pianificazione integrata e continua delle pianificazione fiscale e il controllo della compliance.

CIO, chief information officer (direttore IT). E’ questo top manager che implementa la digitalizzazione e che garantisce che tutti processi reali siano mappati digitalmente e posti rete in un sistema It. Deve integrare i numerosi sistemi chiusi esistenti in un sistema unico. Sfide ulteriori sono la sicurezza fisica e la protezione dell’intero impianto 4.0 da intrusioni non autorizzate dall’esterno, la sicurezza del sistema IT (cybersecurity); l’efficienza energetica e la protezione dai rischi ambientali.

Head of human resources (responsabile delle risorse umane). La smart factory richiede competenze nuove, spesso ardue da identificare e reclutare. Inoltre deve occuparsi del training e della formazione continua per gestire i processi smart factory. E sviluppare e gestire la comunicazione interna e quella verso i diversi stakeholder all’esterno.

CLO, Chief Legal Officer (responsabile dell’ufficio legale). Deve affrontare i rischi legati alla responsabilità e al alla proprietà intellettuale dell’azienda. E accompagnare fornitori e clienti nelle nuove relazioni che richiede industria 4.0 e dunque in un nuovo quadro normativo e contrattuale. A lui spetta l’implementazione di uno standard IP (Protezione Internazionale) che sia rispondente alla normativa. E l’adeguamento della struttura commerciale e del sistema di protezione dei dati e IT alle relazioni contrattuali esistenti e all’organizzazione interna. Senza mai dimenticare le leggi che controllano l’export.

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