ELITE di Borsa Italiana e l’Industria: i numeri di un’alleanza

di Filippo Astone e Laura Magna ♦ Obiettivo: avvicinare le imprese al capitale. Cresce il numero delle manifatturiere che la società guidata da Luca Peyrano prepara per la Borsa. Con  il sostegno di Confindustria

Sono 280 le aziende manifatturiere domestiche con le carte in regola per quotarsi a Piazza Affari. Ovvero oltre il 90% delle 300 italiane ammesse al programma ELITE di Borsa, fondato nel 2012 per supportare le imprese ad alto potenziale di crescita   nell’accesso ai capitali e nei processi di internazionalizzazione. L’incidenza dell’industria, secondo i calcoli che Borsa Italiana ha fatto per noi, è molto alta, al contrario di quello che avviene sul listino : qui, sempre secondo i dati di Borsa, le imprese manifatturiere sono 100 su circa 380 quotate, e pesano per il 30,7% della capitalizzazione totale.

Anche per questa ragione puramente numerica ELITE rappresenta una chiara inversione di tendenza e un’occasione di sviluppo per la Borsa e  di riflesso anche per l’economia reale. Il settore manifatturiero storicamente sotto rappresentato sul listino, è infatti l’ossatura dell’economia italiana: se le ELITE si quotassero effettivamente questa situazione potrebbe finalmente cambiare. Secondo uno studio della Bocconi, che più avanti riprenderemo più diffusamente, se in Italia ci fossero 1000 società quotate invece delle attuali 380, il PIL crescerebbe di uno 0,9% in più l’anno, ovvero raddoppierebbe rispetto ai ritmi attuali. E questo dato da solo spiega perché è importante diffondere la cultura della Borsa nell’economia reale.







Il Programma ELITE: la carica del manifatturiero

Tra le quotande del 2017, a sentire i rumors di mercato, appaiono un paio di ELITE: in particolare Valvitalia, fondata da Salvatore Ruggeri nel 2002 e operante nel settore delle attrezzature meccaniche per l’energia. L’azienda sta compiendo una massiccia campagna acquisti, ( vedi Industria Italiana )con l’obiettivo di diventare un player in grado di offrire un’ampia gamma di prodotti (attuatori, raccordi, flange e sistemi per la misurazione, filtrazione e regolazione di fluidi e gas, e sistemi antincendio) in aggiunta alla produzione di valvole, che resta il core business, con un fatturato al 2015 di 455 milioni di euro. La quotazione servirà a finanziare ulteriori acquisizioni e investimenti interni, tutti finalizzati a questo scopo.

C’ è poi T.P.S. che opera nel campo dei servizi tecnici per il settore aerospaziale; in particolare predispone la documentazione tecnica a supporto della macchina e fornisce il supporto logistico integrato (ILS) con la definizione di dettagliati programmi manutentivi per l’intero life-cycle , sia di aerei che elicotteri .Qualcosa si muove, dunque, anche se a piccoli passi.

Un prodotto Valvitalia
Gli ultimi ingressi in ELITE

Le società ELITE sono in tutto 480, (qui l’elenco aggiornato) valgono 40 miliardi in termini di fatturato e impiegano oltre 175mila dipendenti. Nel 2017 sono state ammesse 44 nuove società di cui 31 italiane «che provengono da 12 regioni e rappresentano diversi settori come food&beverage, utilities, software e lifestyle a ulteriore conferma della capacità di ELITE di rappresentare l’economia reale», così si legge in una nota ufficiale di Borsa Italiana. Le società non italiane provengono da 25 Paesi diversi, tra cui anche Marocco e Russia.

Tra i nuovi ingressi spiccano nella manifattura nomi come Coim che dal 1962 tra Settimo Milanese e Offanengo, nella provincia cremonese, produce plastificanti, poliesteri e poliuretani per il settore della calzatura e ha già esteso le sue attività al Brasile, a Singapore, negli Usa. In un settore affine e sempre in Lombardia opera Plastik, che produce film e sacchetti per il settore igienico sanitario e film tecnici per settori specifici, con una tipica struttura familiare e 240 dipendenti.

Un prodotto Proel

Ancora in Lombardia troviamo Intes, da 50 anni sul mercato tessile nel segmento della produzione di cinghie elastiche per l’arredamento e le sedute in genere: un prodotto innovativo che sostituisce la molla metallica e aumenta il comfort. Anche questa azienda si è internazionalizzata con una joint venture in Cina e una in Tunisia. ELITE va alla ricerca di eccellenze in tutto lo Stivale: in Abruzzo ha scovato Proel, che progetta, produce e distribuisce sistemi audio, video e lighting per il mondo dello spettacolo, degli eventi e per il settore delle installazioni fisse, nonché strumenti musicali e accessori per musicisti.

E in Toscana Saima, una holding composta da due aziende: una che opera nella produzione di sistemi sicurezza per il controllo delle persone in transito e una nella meccanica, fornendo soluzioni relative alla verniciatura di veicoli di ogni dimensione. Ancora, la marchigiana Tecnofilm che, con oltre 40 anni di storia, è una tra le aziende di riferimento nella produzione di compound termoplastici per lo stampaggio di suole e accessori nel settore calzaturiero. E la FARMACEUTICI PROCEMSA, che ha tre unità produttive a Nichelino, in provincia di Torino, ed è leader in Italia nella ricerca e sviluppo e nella produzione conto terzi di integratori alimentari, probiotici, medical device e cosmetici.

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Luca Peyrano CEO ELITE

L’evoluzione di ELITE: l’accordo con Confindustria

Che ELITE sia un programma vincente lo dimostrano molte cose. Innanzitutto la sua evoluzione: negli anni ELITE è diventata una società del London Stock Exchange : il suo ceo è Luca Peyrano. A fine 2016, ha stretto un accordo con Confindustria affinché quest’ultima promuova attivamente il programma presso le aziende, attraverso gli ELITE Desk presenti nelle associazioni territoriali , con l’obiettivo di arrivare in ELITE a quota 1000 imprese.

Dunque ELITE è un oggetto al centro di uno sforzo di sistema per avvicinare le imprese al capitale. E per le imprese, quelle industriali in particolare, che oggi sono chiamate alla prova del passaggio a Industry 4.0, aprirsi a forme di finanziamento diverse da quello bancario tradizionale, può essere la corsia preferenziale per la crescita. Soprattutto se si sceglie la via maestra della Borsa: perché è un canale che consente di reperire capitali per finanziare i propri progetti di sviluppo; perché stare in Piazza Affari imporrebbe un regime di trasparenza e rigore e quindi una maggiore qualità; perché l’attitudine delle quotate a incrementare fatturato e occupazione è superiore alla media e può quindi avere un impatto positivo su crescita e competitività delle imprese ma anche, di riflesso, del Paese.

 «Si tratta di favorire – ha detto Luca Peyrano in passato – un cambiamento del paradigma imprenditoriale su cui sono vissute finora e che ha privilegiato un eccesso di debito sull’equity. Si tratta prima di tutto di un mutamento culturale: i soldi si devono trovare meno in banca e più sul mercato, attirando capitale di rischio. ELITE si propone di agevolare questo processo che non significa arrivare per forza in Borsa ma, certo, un maggior bilanciamento fra fonti finanziarie, con più equity e meno debito».

Le quotabili dell’industria

 «Le aziende di ELITE non arriveranno tutte a quotarsi – conferma a Industria Italiana Manuela Geranio, docente di economia degli intermediari finanziari all’Università Bocconi – ma il programma ha fatto e farà molto anche dal punto di vista dell’educazione finanziaria delle aziende che spesso non sono disposte ad aprire il capitale, mentre dovrebbero, soprattutto se hanno i numeri. E dovrebbero farlo bypassando anche il sistema bancario che in questo momento ha priorità diverse: nel nostro Paese il canale bancario è da sempre quello privilegiato per reperire i finanziamenti necessari alla crescita.

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Manuela Geranio, docente di economia degli intermediari finanziari all’Università Bocconi

Ma gli istituti di credito sono chiamati ad adeguarsi a requisiti di capitale sempre più stringenti, si chiudono le maglie del credito ed è necessario guardare altrove. Le aziende potrebbero optare per l’emissione di un bond o di un minibond di qualità e sarebbe comunque un buon risultato. Dall’altro lato sarà necessario sviluppare un mercato di domanda di questi titoli – e in questa direzione vanno i PIR  ( vedi Industria Italiana ) ».

I requisiti per l’accesso ad ELITE

Per entrare in ELITE le aziende devono possedere un business ambizioso e di alta qualità; crescita storica e potenziale futuro; proiezioni di crescita convincenti; un manager credibile e motivazione ad affrontare cambi culturali, organizzativi e manageriali eventualmente necessari per accedere a finanziamenti di lungo periodo. Il percorso dura due anni e ha un costo di 24mila euro: alla fine di questo viaggio le aziende ricevono un certificato che dà loro maggiori opportunità di accesso a diversi canali finanziamento, migliora la loro visibilità e attrattività, le mette in contatto con potenziali investitori e affianca il management in un percorso di cambiamento culturale e organizzativo.

Come dicevamo in apertura, delle 300 italiane ammesse al programma, ben 280 sono manifatturiere. La schiacciante maggioranza, in una situazione del tutto ribaltata rispetto a quella del listino. Non solo. Le ELITE della manifattura, secondo i dati forniti da Borsa Italiana, hanno un fatturato medio di 122 milioni (mediano 58 milioni), sempre in media crescono del 10%, e hanno un EBITDA margin del 12%. L’EBITDA in valore assoluto è di 14 milioni, con un rapporto tra posizione finanziaria netta e EBITDA medio di 1,4, e un terzo, il 33% di queste aziende ha un ratio superiore a 2,5 volte (il che indica una situazione debitoria particolarmente virtuosa), il 20% di esse addirittura genera cassa.

PIL annuo +0,9% con mille quotate a Piazza Affari

Quindi tutte queste sono aziende solide e sane che potrebbero andare a incrementare Piazza Affari in ciò che è più carente: ovvero la piccola e media impresa e l’industria, appunto. Che impatto avrebbe sull’economia reale una Borsa più affollata e rappresentativa della stessa? Lo ha misurato la stessa professoressa Geranio in uno studio dal titolo “Come sarebbe l’Italia con mille società quotate?” : i benefici sarebbero enormi.

 «L’effetto di un mercato con mille società quotate – spiega Manuela Geranio – sarebbe un PIL aggiuntivo annuo dello 0,9%. Ovvero, la crescita reale della ricchezza ammonterebbe all’1,5% annuo, contro una media registrata negli ultimi dieci anni al 2014 dello 0,1%. Per non dire del tasso di disoccupazione, che sarebbe ridotto del 6,9%”. Numeri impressionanti. “La nostra analisi – continua la professoressa – mostra che in un decennio le aziende quotate dopo il 1995 hanno registrato crescite medie del fatturato del 10%, e del 6,7% quelle in Borsa da più tempo, contro una crescita cumulata del PIL del 2%. Mentre il numero dei dipendenti è aumentato di quasi il 5%, contro una media nazionale dello 0,6%”.

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Le quotate crescono di più

Il listino da incrementare, a parere della studiosa, è lo STAR, dedicato alle medie imprese eccellenti, che possono cambiare i numeri: perché è proprio la media impresa a essere la più carente a Piazza Affari. «Parliamo di un’impresa con almeno 10 milioni di fatturato o 150 dipendenti – dice Geranio – Se dovessi esprimermi su che fatturato minimo sia opportuno avere per una quotazione di successo su STAR direi almeno 40/50 milioni; su AIM anche 10/20 milioni unito a un forte tasso di crescita può funzionare».

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Barbara Lunghi

A patto che poi l’azienda cresca e passi a un livello superiore (STAR o MTA), cosa che finora non è però quasi mai accaduto. «Il nostro obiettivo – ha detto Barbara Lunghi, responsabile dal 2016 del mercato Primary di Borsa e dal 2006 dei mercati per le piccole e medie imprese, STAR e AIM – è consolidare i segmenti dedicati alle PMI, portando imprese di qualità dentro il listino. E lo facciamo innanzitutto con conferenze periodiche a Milano e a Londra». Nel corso dell’ultima STAR Conference a Londra a ottobre, l’interesse è stato elevatissimo,  «con qualunque metrica lo si voglia misurare – aveva detto Lunghi in quella occasione – le case di investimento sono 98, gli incontri richiesti mille e le società presenti superiori a quelle dell’anno precedente ».

Una Borsa piccola piccola (e poco industriale): l’analisi di Kpmg

Qualcosa si muove ed è importante e necessario, viste le dimensioni attuali di Piazza Affari: che vale l’1% della capitalizzazione mondiale, una briciola. E, dopo la crisi, è passata da una capitalizzazione di 818 miliardi nel 2000 ai 525 del 2016 – in discesa rispetto al 2015 ma in crescita rispetto agli anni più bui della crisi, secondo i dati di Kpmg.

Il mercato dei capitali in Italia 2017

Una crescita che non è ancora sufficiente, perché il vero problema è il valore della capitalizzazione rispetto al PIL: Piazza Affari vale, sempre secondo l’analisi di Kpmg, il 35% del Pil, contro il 51% della Germania, il 66% della Spagna e l’86% della Francia. Cioè non rappresenta il tessuto economico sottostante da nessun punto di vista: né da quello dei volumi, né da quello settoriale, con le banche che occupano il 30% del Ftse/Mib. A dicembre 2016, inoltre, la consistenza del settore manifatturiero (Chimica e Materie prime, Beni di Consumo, Servizi al consumo, Salute, Industria e Tecnologia) era di 164 miliardi di euro, per 100 società quotate, pari al 30,7% della capitalizzazione totale (dati Borsa Italiana). Società peraltro piccole, con una capitalizzazione di mercato media di 1,6 miliardi. Negli ultimi 15 anni sono stati raccolti oltre 8 miliardi di Euro (in IPO) in questi settori.

Il mercato dei capitali in Italia 2017a

E se si guarda alle IPO degli ultimi tre anni, che sono state in tutto 67, si evince un altro problema: le società che vanno in Borsa sono sempre più piccole, per lo più scelgono l’AIM, il listino dedicato alle PMI che però è illiquido e non incide sui volumi totali. Nel 2016 delle 14 quotate solo tre matricole – Technogym, Coima res ed Enav sono approdate sul MTA; inoltre i delisting, sempre secondo Kpmg, sono stati 16.

Obiettivo: capitalizzazione al 60% del PIL

«Sarebbe necessario perché l’economia italiana fosse rappresentata in maniera corretta che la percentuale sul PIL fosse almeno il doppio di quello attuale, almeno il 60%”,- afferma Geranio.- AIM è stato creato nel 2009 per offrire alle PMI un canale di accesso agevolato, che avrebbe dovuto funzionare come una camera di decantazione, una sorta di prova generale per poi approdare sui listini principali, MTA o STAR. Ma per ragioni diversi finora così non è stato: le società si fermano sul listino delle piccole, dove gli scambi sono rarefatti e la raccolta di capitali si limita alla fase di IPO.

La chiusura degli imprenditori

Nonostante maglie del credito sempre piùstrette da parte delle banche e reale difficoltà a finanziarsi, le aziende italiane fanno ancora fatica ad aprirsi al mercato dei capitali. Spesso adducendo pretesti come regole troppo stringenti o farraginose: ma Piazza Affari è sottoposta alle stesse regole e agli stessi costi del London Stock Exchange dove le quotate sono nell’ordine delle 2300. Forse a Wall Street i termini per le Ipo sono ancora più rigidi ma le società quotate sono 2800. Si tratta quindi di una forma mentis italiana che rifugge quello che la Borsa impone: trasparenza, pressione del mercato per il raggiungimento degli obiettivi, strutture di governance che tutelino gli azionisti.  «Il cambiamento che si impone – conclude Geranio – è di tipo culturale e richiederà un processo lungo anni. Approdare in Borsa comporta una serie di consapevolezze che vano ben al di là dell’aspetto meramente finanziario: è un mondo legato alla possibilità di crescita all’estero, di fare M&A, di crescere a velocità più elevata rispetto a una crescita organica, alla necessità di avere una strategia complessa».














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