Cresce la produzione industriale, ma è solo un primo passo

Stevanato Group

di Riccardo Sandre ♦ Gli effetti del Piano Calenda si fanno sentire, ma dati incoraggianti non bastano a definire un trend robusto di recupero. Produttività, revisione della catena del valore, sviluppo di nuovi modelli di business. Questi i nodi da sciogliere secondo l’analisi di tre economisti interpellati da Industria Italiana: Micelli, Costa e Bagnoli

Lo scatto in avanti della produzione industriale del Paese – il maggio di crescita che ha fatto segnare un incoraggiante + 2,8% sullo stesso periodo dello scorso anno – è attribuibile, secondo ogni dato apparente e secondo più esperti di settore, ai primi effetti “tangibili” del piano Calenda. Ne è prova l’ascesa (+5,9%) dei beni strumentali. Certo, la manifattura si è accorta delle agevolazioni: del superammortamento sugli acquisti di beni strumentali nuovi e dell’iperammortamento per gli investimenti in beni funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale delle imprese.







Apparentemente, siamo sulla buona strada. È un primo passo. Resta il fatto che l’Industry 4.0 non è un supermercato, e l’acquisto ha un senso se inserito in una strategia, interna e di filiera, frutto del ripensamento del proprio posizionamento e dei rapporti con gli altri segmenti della catena. È, in buona sostanza, un modo nuovo di fare business. Quale sia il grado di consapevolezza di questo percorso nella manifattura italiana è oggetto di discussione; Industria Italiana lo ha chiesto tre economisti, conoscitori di management, strategia d’impresa e innovazione.

Pure nel contesto di un moderato ottimismo i nodi da sciogliere sembrano essere ancora molti. Tre sono quelli principali su cui Stefano Micelli, Giovanni Costa e Carlo Bagnoli individuano come elementi centrali del successo o dell’insuccesso dell’economia italiana fondata sulla produzione di manufatti.

Innanzitutto attenzione agli indici di produttività: sono da tempo mediamente piuttosto ridotti rispetto ai competitor internazionali ed a paesi benchmark come la Germania. C’è poi la catena del valore che deve essere rivista, orientando gli sforzi dell’innovazione verso i punti di maggiore redditività che sono quelli dell’innovazione di prodotto e dei servizi al cliente. Infine vengono i nuovi modelli di business da sviluppare in relazione ad una rivoluzione tecnologica e digitale che apre spazi di competizione del tutto nuovi ma che rischia di diventare una trappola se non sfruttata in tutta la gamma delle sue possibilità. In questo caso il rischio è restare ancorati ad una logica di ottimizzazione di processo che minaccia di schiacciare la produzione industriale italiana in una corsa dove altri e più solidi concorrenti procedono celermente già da tempo.

 

Stefano Micelli presidente del corso di laurea in International Management di Ca’ Foscari

Stefano Micelli: per vedere risultati ci vuole tempo e soprattutto più formazione

I settori produttivi e i comparti della manifattura del Paese presentano complessivamente dati incoraggianti, stimolati pure da un Piano Nazionale per l’Industria 4.0 che ha dato nuovo impeto ad investimenti produttivi fermi da tempo.
«I dati dell’Istat raccontano di un mondo della manifattura che ha ricominciato ad investire dopo lunghi anni di latitanza» spiega Stefano Micelli presidente del corso di laurea in International Management di Ca’ Foscari, autore di diversi volumi di economia tra cui il celebre “Futuro Artigiano” e consulente per aziende del settore HiTech come Sap, Microsystem, Telecomitalia ecc. «Una novità senz’altro legata al successo del Piano Nazionale per l’Industria 4.0 del governo ma che non ha, come alcuni sostengono, “drogato il sistema”.»

«Si tratta più che altro di un intervento puntuale che garantisce alle imprese di riprendere una dimensione fisiologica di investimenti produttivi a fronte di una rivoluzione tecnologica come quella che vede il digitale entrare nella manifattura. Ma per vedere crescere il delta della produttività rispetto al passato, un dato che si attende con attenzione, ci vorrà ancora qualche tempo e il supporto di un sistema della formazione che deve vedere non solo le università ma pure le scuole professionali e gli istituti di formazione post diploma fornire competenze nuove per un mondo della produzione che cambia.»

 

Giovanni Costa emerito della cattedra di Strategie d’Impresa presso l’Università di Padova

Giovanni Costa: concentrarsi non solo sulla produzione

Rimane centrale però il tema della creazione di valore, uno degli aspetti che fanno la differenza fra un sistema in grado di affrontare il post incentivi con slancio e uno invece che dovesse a rimanere legato alle iniziative spot della pubblica amministrazione con le prevedibili conseguenze sull’andamento degli indicatori legati agli investimenti ed alla produzione industriale. «Indiscutibilmente l’iniziativa legata ai superammortamenti prima e agli iperammortamenti poi hanno favorito gli investimenti e dato un impulso alla crescita dei fatturati dei produttori delle macchine utensili» commenta Giovanni Costa emerito della cattedra di Strategie d’Impresa presso l’Università di Padova ma con un lungo curriculum che all’insegnamento nei più prestigiosi atenei italiani ed europei (Bocconi, Ca’ Foscari, Essec di Parigi, Cuoa di Vicenza) associa un’attività professionale in Intesa San Paolo, dove è stato vicepresidente del Cdg, e nell‘Abi.

«E tuttavia continuo a ritenere che l’innovazione debba essere spinta dal mercato e non da incentivi pure fondamentali per affrontare una rivoluzione globale della produzione come quella che stiamo vivendo. Ma bisogna fare attenzione anche quando si parla dei livelli produttivi del 2008. Ragionare semplicemente in questo senso non tiene conto del cambiamento epocale dell’intero sistema economico e sociale che andiamo osservando in questi 10 anni. Sapere produrre, innovare nei processi e gestire complessi sistemi logistici costituisce ancora fonte di ricchezza delle nazioni, ma paesi come la Germania, che ha livelli di produzione industriale simili ai nostri o la stessa Francia che ha una produzione industriale inferiore, comunque generano maggiore Prodotto Interno Lordo.»

«Se si guardano le differenze tra i modelli si scopre che chi produce più valore sa ibridare la manifattura con il servizi spostandosi, nella catena del valore più a monte, cioè dove si fanno le innovazioni non solo di processo ma di prodotto, e più a valle dove ci si avvicina al rapporto con il cliente. É in questi due punti che si genera la maggiore quantità di ricchezza. Concentrarsi solo sulla produzione come un contoterzista globale di chi sa combinare il manufatto con un servizio complesso significa di fatto arricchire qualcun altro: l’esempio di Carel nel settore della refrigerazione industriale, quello di Stevanato nel medicale e di Sirmax nella gomma-plastica sono emblematici. Si tratta di aziende multilocalizzate, che hanno capacità di produrre portandosi a ridosso del cliente e diventando un player globale che sa associare alla produzione servizi fondamentali. Anche nel distretto delle macchine utensili di Piacenza la co-progettazione degli impianti con il cliente è un valore aggiunto fondamentale che garantisce al sistema risultati notevoli».

 

Carlo Bagnoli
Carlo Bagnoli, professore associato di Innovazione Strategica a Ca’ Foscari

Carlo Bagnoli: innovare i modelli di business

E la vera sfida che tiene desta l’attenzione degli economisti e degli imprenditori più illuminati è quella della legata alla capacità del sistema produttivo italiano di cogliere l’occasione di Industria 4.0 per ripensare i propri modelli di business. «Per tornare davvero ai livelli di produzione del 2008 e superarli non bastano gli incentivi né la capacità di sfruttare gli andamenti positivi di settori specifici come quello dell’agroindustria che ha segnato, maggio 2017 su maggio 2016 un +4% della produzione, o dei mezzi di trasporto (+7,3% nello stesso periodo)» ha fatto notare Carlo Bagnoli ordinario di Innovazione Strategica a Ca’ Foscari, ideatore della Biennale Innovazione di Venezia e membro del comitato scientifico di Confindustria Piccola Industria.

«Utilizzare l’opportunità della Fabbrica 4.0 solo per accelerare sull’innovazione di processo rischia di schiacciare la nostra produzione rispetto a una concorrenze internazionale che di certo non sta ferma, né puntare alla sola innovazione di prodotto ci garantisce un esito certo, considerato che parte importante dei prodotti della nostra industria è orientata al B2B. Dobbiamo ragionare di innovazione dei modelli di business e come CA’ Foscari, assieme a Kpmg, stiamo sviluppando una ricerca proprio in questo senso, quello di approfondire le opportunità che un cambiamento di paradigma produttivo apre in questi termini.»

«L’esempio più noto è quello di Nokia rispetto a Apple: l’una intenta a innovare i propri prodotti, altra a trasformare i suoi smartphone in una piattaforma tecnologica dove potessero muoversi produttori di contenuti e di servizi terzi. Il risultato dello scontro è noto e di monito a chi non vuole approfondire un aspetto centrale dell’innovazione 4.0. Mobili che possano ospitare nuovi servizi e non solo restituire informazioni sul loro utilizzo (penso elettrodomestici che offrano contenuti di ambito culinario ad esempio) o l’ingresso della sharing economy anche in settori esterni a quello della mobilità sono solo alcune delle idee che il sistema e gli imprenditori, anche in un ambito di filiera, devono sviluppare nei prossimi anni per riprendere quella centralità del Made in Italy che non solo è produzione ma pure immaginario collettivo di eccellenza».

 

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                    L’andamento della produzione industriale: i dati e l’analisi

 A maggio la produzione industriale del paese vola a +2,8% rispetto allo stesso mese del 2016, trainata dai beni strumentali (+5,9%) e, in misura più lieve, dai beni di consumo (+2,5%), dall’energia (+1,0%) e dai beni intermedi (+0,4%). La situazione descritta dall’Istat per il mese di maggio rappresenta dunque un segnale positivo per un’economia, quella italiana, che rimane la seconda forza manifatturiera europea dopo la Germania, ma il cui incremento non permette ancora di vedere la produzione industriale tornare ai livelli pre-crisi.

Alla fine del 2016 le imprese producevano ancora il 20,8% in meno di quanto non facessero nel 2008 e il ritmo che viene registrato dall’Istituto nazionale di statistica nel periodo gennaio-maggio 2017, un comunque positivo +1,7%, permetterebbe solo tra 13 anni (nel 2030) se fosse un andamento costante, il ritorno ai livelli produttivi del 2008. Una progressione davvero troppo lenta per un paese che vede un parte importante del Pil italiano generato, direttamente e indirettamente, dalle attività di produzione, quel nucleo di partecipazione al Pil mondiale che nei fatti e nell’immaginario rappresenta il contributo del Paese alla divisione del lavoro a livello globale. Ma guardando un poco più sotto la superficie alcuni segnali di crescita significativa sono individuabili nei macro settori della produzione e nei singoli comparti.

Osservando i raggruppamenti principali di imprese a fare la parte del leone sono i beni di consumo durevoli che crescono da maggio a maggio del 8,6% seguiti dai beni strumentali (+5,9%) e dai beni di consumo non durevoli (+2,5%). Andando invece a spulciare i risultati per settore di attività sono la produzione di mezzi di trasporto (+7,3%) e le altre industrie manifatturiere legate alla istallazione e alla riparazione di macchine ed apparecchiature (+6,7%) a presentare la migliore performance dell’anno, seguite dai macchinari Nca (+5%), dalla metallurgia (+4,7%) e dall’agroalimentare (+4%). Male invece le attività estrattive (-18,8%), la fabbricazione di apparecchiature elettriche (-5%), l’industria del legno, della carta e della stampa (-0,6%) e i tessile (-0,5%) che però rappresentano i quattro settori in negativo contro gli undici in crescita nel periodo.

Dati incoraggianti confermati dall’associazione dei produttori di macchine utensili Ucimu le cui previsioni per il 2017 parlano di una crescita della produzione del 6,7% che dovrebbe sfiorare i 6 miliardi di euro (5,925 miliardi di euro) mentre un segnale positivo arriverà pure dalle esportazioni, in crescita del 3% a quota 3,3 miliardi di euro. Bene, secondo gli ultimi dati elaborati dal Centro Studi e Cultura di Impresa di Ucimu-Sistemi per Produrre, l’indice degli ordini di macchine utensili raccolti nel secondo trimestre 2017,che ha registrato un incremento del 17,2% rispetto allo stesso periodo del 2016, per un valore assoluto dell’indice pari a 136,2 (Base 2010=100). Una dinamica supportata di fatto da un Decreto Calenda che ha dato slancio agli investimenti in Italia.

Massimo Carboniero al meeting di RImini
Massimo Carboniero,presidente Ucimu-Sistemi Per Produrre

«In un contesto di generale arretramento dell’industria mondiale di settore, l’Italia ha mostrato di avere fiato e gambe per crescere, e crescere ancora, rispetto a quanto già fatto nel biennio precedente» aveva dichiarato solo pochi giorni fa Massimo Carboniero, presidente Ucimu-Sistemi Per Produrre. «Le previsioni ci dicono che il nostro paese farà ancora meglio. Dopo il +22,2% del primo trimestre del 2017, l’indice degli ordini sul mercato domestico nel secondo trimestre registra un incremento del 28,5% a conferma della tendenza ad acquisire nuovi macchinari e nuove tecnologie per la connettività degli impianti». Quasi un’ubriacatura che viene dopo un lungo periodo di contrazioni pesanti degli investimenti nell’industria manifatturiera che gli economisti stimano tra il -20 e il -25% a seconda dei settori dall’inizio della crisi.

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