Cereda: il futuro di IBM fra intelligenza aumentata e PMI. E sull’Italia…..

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IBM's Global Center for Watson IoT in Munich, Germanyjpg

di Filippo Astone ♦ Il numero uno  di Big Blue nel nostro Paese racconta strategie e innovazioni per mantenere la leadership storica. Anche a costo di una momentanea flessione dei fatturati e degli utili che, però, non riguarda l’Italia che, anzi, cresce. In arrivo importanti novità su sanità e altri ambiti

A.I. versus I.A.

Non si tratta di una sfida fra acronimi, ma è la sintesi del paradigma che si sta affermando in università, istituti di ricerca, start up, e grandi società di IT. Che si muovono con determinazione, anche stringendo alleanze, sul terreno della Intelligence Augmentation (I.A. appunto) per costruire sistemi informatici in grado di integrare e supportare il pensiero, l’analisi e la pianificazione umani, lasciando dunque che l’intenzione di un attore umano resti nel cuore dell’interazione col computer.







In opposizione, dunque, all’idea di Intelligenza artificiale (A.I), per ora abbastanza lontana da una realizzazione pratica, idea che fa pensare a un sistema intenzionale che riproduca la cognizione umana, consentendogli di funzionare autonomamente ed efficacemente in un dato dominio. Da questo paradigma prende le mosse il nostro articolo che, attraverso un’intervista al numero uno di IBM Italia Enrico Cereda, racconta il cambiamento di Big Blue nel nostro Paese, e il relativo impatto su aziende, sanità, pubblica amministrazione. Ecco il contesto, che è fondamentale. Poi arriveremo a Cereda.

Enrico Cereda Ceo IBM Italia
Enrico Cereda Ceo IBM Italia (courtesy IBM)

IBM: la più grande e antica società di IT del mondo

Il fatto è che tra i protagonisti dell’Intelligenza Aumentata c’è proprio la International Business Machines Corp, la più grande e antica (è nata ufficialmente nel 1888) società di IT del mondo, guidata dalla Ceo Ginni Rometty, che ha puntato tutte le sue carte sul sistema Watson, che deve il suo nome a Thomas Watson, colui che guidò l’IBM per la bellezza di 42 anni (dal 1914 al 1956), facendola grande. L’idea è che la tecnologia – che in buona sostanza coincide con il software e quindi con l’Intelligenza Aumentata – debba andare ben oltre l’automazione, esprimendo il suo valore come leva decisiva definire prodotti, servizi e persino il modello di business delle società che l’adottano.

Intelligence Augmentation e Watson rappresentano per IBM un nuovo ciclo di sviluppo, una discontinuità, per la quale sono stati varati importanti investimenti (15 miliardi solo nel 2016, che non sono proprio bruscolini, su ricavi di circa 80). Da sempre, IBM è stata artefice di nuovi standard e tecnologie, che ha imposto al mondo. Dalle prime macchine per schede perforate costruite in serie al primo computer prodotto industrialmente (il famoso IBM 650).

Ginny Rometti, CEO IBM
Ginny Rometti, CEO IBM al Fortune Most Powerful Women Summit, Laguna Niguel, California

La strategia dell’innovazione continua

Dal Floppy Disc alla scheda madre, dalla Dram al database relazionale e ai server AS400, che hanno reso accessibili le applicazioni gestionali a tante piccole e medie imprese che non si sarebbero potute permettere i mainframe. La sua strategia è sempre stata quella di innovare, imporre le innovazioni e poi, quando queste diventavano obsolete, abbandonarle, per puntare su altre. Ad esempio, nel 2005 sono stati abbandonati i personal computers, ceduti ai cinesi di Lenovo, per concentrarsi su server, mainframe e, soprattutto, software e servizi. Nel 2014 sono stati ceduti a Lenovo anche i server, e gli unici prodotti hardware di IBM sono rimasti i mainframe.

Nei periodi di passaggio fra un ciclo e l’altro sono normali momenti di crisi, e IBM nella sua storia ne ha vissuti anche di drammatici. L’attuale momento di passaggio, o di crisi, però, non è drammatico. Si verifica una riduzione dei ricavi (dagli 82 miliardi di dollari del 2015 agli 80 del 2016) e degli utili (dai 13,2 miliardi del 2015 agli 11,9) ma nulla di particolarmente traumatico, visti gli investimenti e anche la decisione di passare a un modello di erogazione di software e di servizi totalmente basati sul cloud, che comporta canoni di affitto mensili, o trimestrali, invece che fatture di acquisto.

IBM oggi

Nel tempo, i canoni di affitto genereranno più ricavi ma adesso creano un momentaneo calo di fatturato. Tanto è bastato perché Warren Buffett gridasse allo scandalo sui giornali di tutto il mondo e decidesse di ridurre la sua partecipazione in IBM; ma Ginni Rometty ha continuato ad andare dritta per la sua strada. In Italia (dove IBM ha un giro d’affari di circa due miliardi di euro), peraltro, questo calo non si è verificato.

Come si può leggere nell’Annual Report del 2016, l’Italia è anzi cresciuta del 4%, andando in controtendenza rispetto al resto d’Europa e a buona parte del mondo. In Germania, infatti, i ricavi di IBM sono calati del 5,1%; in Francia del 3,4% e in UK addirittura del 12,8%. Nel complesso, tutta l’area Emea è scesa del 5%, rispetto a un calo del 2,5% nelle Americhe (-0,9% negli Usa), e a un collasso del mondo latino: -10,5 in Brasile e addirittura -14,5% in Messico. In crescita solo il Giappone (addirittura +10,5%) e l’India (+5,2%).

Ma entriamo nel vivo del discorso sul nostro Paese che Industria Italiana ha condotto con Enrico Cereda che, fra l’altro, in questi giorni è entrato nella squadra del neopresidente di Assolombarda Carlo Bonomi, con deleghe su Internazionalizzazione ed Europa.

Acquisizione dati con l’utilizzo di droni ( courtesy IBM)

La seconda fase della trasformazione digitale passa per i dati.

Che la trasformazione digitale dell’economia e delle aziende, comprese quelle italiane, si giochi sul terreno delle Innovations Disruptive ( I.D.) nei prossimi cinque anni, secondo la più parte dei player e degli osservatori è un fatto. Dove le I.D. si identificano con il Cloud, il Mobile, l’IoT (Internet of Things o Internet delle cose) e la robotica collaborativa. Tutte soluzioni tecnologiche che generano una proliferazione e propagazione dei dati. Il cui impatto frammenta e ricombina la catena del valore, aprendo varchi a competitor ‘non tradizionali’, prefigurando dunque nuovi equilibri per interi comparti produttivi.

L’80% dei dati è di natura non strutturata: un oceano da esplorare. In Italia si parla molto di sistemi cognitivi, ma di fatto il Paese è ancora indietro in termini di applicazioni. «L’IT è sempre più parte integrante dei piani industriali di qualsiasi azienda», sostiene Cereda. «Che sia manifatturiera, finanziaria o della pubblica amministrazione. Ormai la digitalizzazione è uno dei pilastri della crescita, soprattutto parlando di Industria 4.0, e abbiamo la fortuna che il Governo, con il Piano Calenda, si è fortemente impegnato realizzando, di fatto, un piano di politica industriale. Adesso però tutti dovremmo cercare di far comprendere meglio le potenzialità della trasformazione. A tal fine i Digital Innovation Hub devono avere un ruolo sempre più rilevante».

I Digital Innovation Hub.

I Digital Innovation Hub (DHI) sono cluster tecnologici definiti dal governo “un ponte tra impresa, ricerca e finanza”. A dar loro il “la” dovranno pensare le rappresentanze di Confindustria e dell’Associazione R.E.TE. Imprese Italia (Casartigiani, CNA, Confartigianato, Confcommercio e Confesercenti). L’idea nasce dal programma europeo “Digital european industry” dell’ aprile 2016, che ha messo a disposizione 500 milioni di euro in tutta Europa, mentre il Piano Calenda ne prevede 170.

I Digital Innovation Hub nelle intenzioni dovrebbero agire come supporto alle imprese con un coinvolgimento bottom up di territori, università e centri di ricerca di eccellenza. Il loro obiettivo principale è far sì che la manifattura, punta di eccellenza del nostro sistema economico, passi dall’attuale 15% di contributo al PIL ad almeno il 20%. I pilastri della mission dei DIH indicati nel Piano Calenda sono: sensibilizzazione delle imprese su opportunità esistenti in ambito Industria 4.0; supporto nelle attività di pianificazione di investimenti innovativi; indirizzamento verso Competence Center dell’Industry 4.0; supporto per l’accesso a strumenti di finanziamento pubblico e privato; servizio di mentoring alle imprese; interazione con DIH europei.

Secondo Cereda, la necessità e la centralità degli DIH risiede nel fatto che «a differenza della Germania in cui la trasformazione è partita prima di noi con colossi come Bosch e Siemens, di cui poi si sono avvantaggiate le PMI, l’Italia queste grandi aziende non le ha. Per fare innovazione dunque i Digital Innovation Hub possono e devono giocare un ruolo fondamentale».

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Il Data Center IBM a Cornaredo- Settimo Milanese, Milano (courtesy IBM)

IBM investe 50 milioni di dollari su un data center italiano.

Che ci sia necessità di digitalizzazione lo sostengono anche alcuni dati. Prendiamo l’IoT. Che continua a crescere raggiungendo a fine 2015 quota 2 miliardi di euro (Fonte: Osservatori PoliMi), eppure nel nostro Paese, al momento, solo il 5% delle aziende manifatturiere dichiara di conoscere il valore aggiunto che l’Iot potrebbe generare (fonte: Università di Brescia). Dati che, per Big Blue, rendono l’Italia un mercato potenzialmente assai importante.

Pertanto, IBM ha deciso un anno fa di investire nel nostro Paese 50 milioni di dollari per realizzare a Milano un Data Center “italiano” (6.600 mq, con una capienza di 11mila server e velocità di accesso a 40 Gigabit/secondo), che eroga a imprese, istituzioni e pubblica amministrazione (e non solo) i servizi di SotfLayer: l’infrastruttura cloud della corporation. Il centro fa parte di una rete mondiale di 40 centri gemelli. Rete in cui IBM nel solo 2014 ha investito 1,2 miliardi di dollari, e che in Europa comprende Londra, Parigi, Francoforte, Amsterdam e Almere (Olanda).

L’obiettivo per l’Italia era quello di realizzare il 100% del piano entro 3 anni. Oggi, IBM è vicina al 50%. « Con 2 miliardi di fatturato siamo ancora la prima azienda IT in Italia. Negli ultimi due anni abbiamo assunto 400 neolaureati che abbiamo collocato nell’area dei servizi, un ambito che per noi è diventato predominante. Per servizi intendiamo le persone che lavorano o dai clienti o da noi per i clienti che sono in outsourcing.

Abbiamo creato in Italia, tra i primi in Europa, una società di nearshoring (che si occupa appunto dell’outsourcing dei processi di business) a Peschiera Borromeo; il che vuol dire che abbiamo attività che vengono erogate in Italia anziché all’estero». IBM adotta la strategia del SAAS (Software As A Service), un servizio per cui le aziende pagano una fee mensile e lavorano in ambiente cloud; non comprano più un prodotto. Oggi il colosso IT deriva il suo fatturato per il 75% da servizi infrastrutturali e applicativi, per il 15% da software e per il 10% da hardware (soprattutto mainframe, ma anche server e storage).

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La rete globale degli IBM Cloud Data Center (courtesy IBM)

Il cloud ha una centralità assoluta

Negli ultimi 10 anni IBM ha acquisito 170 società software, focalizzandosi sul cloud con l’obiettivo di abilitare il cambiamento del modo di lavorare. Nella convinzione che la tecnologia dei sistemi cognitivi, degli analytics, del cloud e della blockchain non esprima più il suo valore soltanto nell’automazione, ma rappresenti una leva per aumentare la produttività. «Negli ultimi anni abbiamo disinvestito prima dal settore Pc, poi dai server Intel e da tutto ciò che era ritenuto commodity e oggi abbiamo in portafoglio solo server e storage che non sono commodity: server Mainframe in cui abbiamo di fatto un monopolio e storage a valore», precisa Cereda.

Le strategie sulla sanità nell’area ex Expo: 150 milioni di euro.

Nei progetti del gigante dell’IT per l’Italia c’è la volontà di costruire a Milano, nell’area dellex  Expo, una piattaforma dotata di intelligenza cognitiva dedicata alla sanità. «L’idea è replicare quanto fatto a Monaco per la manifattura. Nell’ambito di un investimento globale da 3 miliardi di dollari per integrare il cognitive computing nella piattaforma Watson IoT, IBM ha destinato più di 200 milioni di dollari al proprio quartier generale Watson IoT di Monaco», dice Cereda, che prosegue «In Italia vogliamo investire 150 milioni nel settore dell’healthcare che è un settore in cui eccelliamo in un contesto globale: stiamo lavorando con le Istituzioni, a livello centrale e locale, per raggiungere l’obiettivo».

IBM intende realizzare alle porte dell’ex area Expo, all’interno del progetto Human Technopole, il primo Centro di eccellenza europeo di Watson Health. Il 31 marzo scorso a Boston, Ginni Rometty, ceo mondiale di IBM e il presidente del Consiglio, Matteo Renzi hanno firmato un accordo che oggi si sta definendo. Nel frattempo, IBM sta promuovendo un pool di start up nella healthcare e nella PA, all’interno del quale la multinazionale offre learning tecnologico e utilizzo gratuito di servizi cognitivi in cloud.

Watson Health Center
Il Ceo di IBM Rometti e l’ex Primo Ministro Renzi firmano l’accordo per il Watson Health Center (courtesy IBM)

 

Il Centro di Watson Health intende operare nella oncologia predittiva, negli studi sulle malattie neurodegenerative e nelle le terapie virali, con la possibilità di utilizzare tutti i brevetti IBM, agendo nella prospettiva di creare un circolo virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato. I sistemi Watson nella strategia dell’ I.A non sostituiscono l’uomo e nel caso specifico, i medici. I quali oggi basano diagnosi su un livello di conoscenza che non riesce sfruttare tutte le potenzialità dello sviluppo scientifico. Watson potrà esplorare una mole sterminata di informazioni ma non ragionando più in maniera deterministica. In questo modo, offre al medico ipotesi a diverso grado di probabilità permettendogli di fare la diagnosi migliore.

Utilizzo di Watson per le diagnosi cliniche (courtesy IBM)

Non solo sanità per Watson.

Il software Watson, prodotto di punta di IBM nel campo dell’intelligenza aumentata e in grado di rispondere a domande espresse in linguaggio naturale, è costruito sulla base di una tecnologia IBM che risponde al nome di DeepQA, ed è in grado di formulare ragionamenti logici, memorizzare e leggere quantità enormi di dati, schematizzarli in aree tematiche e semantiche, apprendere e interagire con gli essere umani suggerendo ipotesi da applicare. «Nella pratica parliamo di una famiglia di prodotti e servizi a supporto dei sistemi cognitivi, strumenti in grado di automatizzare sempre di più certe attività – spiega Cereda – ma soprattutto in grado di supportare le persone nelle loro decisioni, nelle attività, in qualsiasi processo produttivo.

Di Watson dunque non ce ne è uno solo. Rendendosi disponibile per esempio al settore bancario e soprattutto all’industria. Dice Cereda: «La piattaforma elabora i dati e dà loro un significato restituendo, ovviamente per funzionare ha bisogno di essere combinata con i prodotti di automazione di chi sta nelle industrie». E non a caso IBM va costruendo anche qui un ecosistema fatto di alleanze con altre grandi.

Le potenzialità del Watson IoT Center a Monaco (courtesy IBM)

Watson per la manifattura.

E non solo. Le alleanza di IBM con i leader delle soluzioni per la manifattura si moltiplicano: con ABB ha siglato un accordo in aprile con l’obiettivo di realizzare uno strumento che consentirà alle imprese manifatturiere e alle smart grid di mettere a punto analisi cognitive in tempo reale. Andando ben oltre i sistemi connessi che si limitano solo alla raccolta dei dati. Un’applicazione pratica? ABB e IBM utilizzeranno le funzionalità di intelligenza artificiale di Watson per permettere l’individuazione di difetti produttivi grazie a immagini registrate in tempo reale scattate con un sistema ABB.

Queste immagini verranno poi analizzate utilizzando IBM Watson IoT for Manufacturing. Precedentemente, queste verifiche erano fatte manualmente, un processo spesso lento e soggetto a errori. «Mettiamo a fattor comune le rispettive competenze in cui ciascuno eccelle e che l’altro non potrebbe replicare in house: noi i sistemi cognitivi, Abb e Cisco le soluzioni per il manifatturiero. La collaborazione è necessaria». E lo è sempre più e sempre in maniera più estesa, nell’ottica dell’open innovation.

 

La collaborazione IBM ABB (courtesy IBM)

Tanto da includere anche il mondo delle start up: «Stiamo creando valore sui clienti allargando alle start up: quando non abbiamo competenze su prodotti e soluzioni inseriamo nel ciclo di vendita anche start up, insieme ad aziende consolidate. Ma sulle start up stiamo puntando in maniera massiva: con lo Start up camp in cui premiamo le più innovative, prima su base nazionale, poi continentale, infine globale». Ampliare il campo, anche attraverso acquisizioni, ma soprattutto creando un ecosistema di partner il più esteso e vario possibile. Secondo Cereda, «i settori più interessanti per noi ora sono sanità e industria e innovazione; e l’innovazione si crea soprattutto in maniera open, con i partner: quelli che già abbiamo sul territorio ci stanno portando bei risultati».

Anche un ritardo cronico come quello rappresentato da un parco macchine estremamente obsoleto (con un’età media di 13 anni secondo Ucimu) è da considerarsi «Un’opportunità, un gap da recuperare. L’incidenza dell’industria manifatturiera sul PIL è diminuita dal 21% al 16% nella crisi e sappiamo che per far aumentare il PIL l’industria manifatturiera deve avere un ruolo. Noi crediamo che i tre settori di crescita nel prossimo futuro siano l’industria insieme alle banche e alla PA». Che in Italia hanno un reale bisogno di essere rivoluzionati.

Non solo. «In Italia abbiamo anche l’heritage che è il mondo As400», afferma l’ad. Ovvero il primo sistema centralizzato a supporto del sistema informativo gestionale aziendale, nato nel 1988. Lo produceva IBM che per le PMI è sempre stata un punto di riferimento nell’offerta di gestionali: «la piattaforma As400 ora si chiama Power: ne abbiamo 5mila istallazioni in Italia e su di esse facciamo leva per far crescere i nostri partner sulla parte evolutiva di Watson».

Analisti della sicurezza utilizzano Watson per migliorare la capacitativa investigativa nell’ambito della Cybersecurity (courtesy IBM)

IBM ha già firmato accordi con aziende importanti come Humanitas, Technogym, Yoox e l’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza per l’utilizzo di Watson: «è il modo per portare questa aziende nel passo successivo della digitalizzazione. Che è la strada obbligata: le PMI devono rendersi conto che negli ultimi due o tre anni non esisteranno aziende digitalizzate e aziende che non lo sono, ma aziende che stanno nel mercato e aziende che stanno nella storia».














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