Caro Calenda, secondo me la seconda fase dovrebbe essere questa…

display interattivo a bordo dei punti di assemblaggio aiuta l’operatore
Display interattivo a bordo dei punti di assemblaggio aiuta l’operatore

di Laura Magna ♦ Roberto Crapelli, managing director di Roland Berger in Italia, commenta l’intervista del Ministro dello Sviluppo Economico al Corriere della Sera, con alcune proposte su un secondo pacchetto di provvedimenti da prendere dopo quello sull’Industry 4.0

La creazione di un mercato dei capitali efficiente e l’agevolazione dell’M&A cross border in Europa come prossime mosse di politica industriale. Potrebbero essere due voci da inserire nell’agenda del Ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda che, contestualmente all’entrata in vigore del piano Industria 4.0 con il nuovo anno, ha già parlato nell’intervista al Corriere Della Sera, della necessità di una seconda fase , richiamando l’esigenza di «metterci in sicurezza con un piano straordinario, ragionare come sistema Paese, tutelare in modo più netto gli interessi nazionali… Anche prendendoci tutti gli spazi di bilancio che servono».







I suggerimenti riguardanti il mercato dei capitali e l’ M&A cross border  vengono da Roberto Crapelli, a capo della sede italiana della multinazionale della consulenza tedesca Roland Berger, nonché grande esperto di tematiche industriali, di Industry 4.0 e di politiche per lo sviluppo. Ecco cosa ha detto a Industria Italiana.

Una svolta nella politica industriale italiana

«È positivo per la ripresa del Paese che il ministro pensi già a una seconda fase, dopo che la buona accoglienza del primo piano Industry 4.0 ha segnato una svolta nel modo di fare politica industriale concreta in Italia», esordisce Crapelli. L’ amministratore delegato di Roland Berger in Italia guida una società  che si occupa di fare consulenza indipendente, e che opera nel mondo con 2400 dipendenti in 34 Paesi. Crapelli, per il ruolo che riveste, occupa un punto di osservazione privilegiato sui destinatari del programma di governo in tema di Industria 4.0.

Punto di osservazione da cui coglie «un sentiment positivo circa il fatto che le misure del ministro Calenda consentano alle imprese di avere accesso ai supporti finanziari direttamente, senza dover passare attraverso procedure complesse. Nel contempo abbiamo colto tra le righe delle stesse dichiarazioni del ministro un’ intenzione di mettere in campo altre misure, di fare di più».

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Roberto Crapelli, AD Roland Berger
Recuperare il gap con la Germania

Allora, in cosa dovrebbe consistere questa seconda fase? «Potrebbe andare – afferma Crapelli – nella direzione di valorizzare l’efficace pacchetto di misure già approvate, promuovendo strumenti per coinvolgere altri investitori, a partire dal mercato dei capitali fino alla partecipazione allo sviluppo delle nostre PMI che investono in Industry 4.0 per continuare a crescere e ad internazionalizzarsi».

I primi effetti del piano del governo sulla quarta rivoluzione industriale sono attesi già nel corso dell’ anno appena iniziato: un piano, che, lo ricordiamo, ha obiettivi molto ambiziosi, almeno in termini di capienza.
In estrema sintesi, verranno attuate misure fiscali per 13 miliardi di valore (a cui aggiungere ulteriori 23 miliardi che dovrebbero provenire da privati: 10 in tecnologie 11,3 in ricerca e sviluppo e 2,6 in venture capitale e start-up). Un’ampiezza che fa sembrare piccoli gli Usa, con il loro piano da mezzo miliardo, ma anche Francia e Germania che hanno investito rispettivamente dieci miliardi la prima e un miliardo la seconda .

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Alle imprese conviene senza dubbio aderire agli incentivi: basti solo ricordare che gli investimenti in Industry 4.0, secondo uno studio di Roland Berger, possono ottenere ritorni sul capitale (ROE) superiori del 50% rispetto agli investimenti tradizionali in macchinari e impianti. Secondo un’altra analisi, condotta sempre dalla società di consulenza, sono necessari, a regime, almeno 8 miliardi l’anno per far recuperare al Paese il terreno perso e portare la quota manifatturiera dall’attuale 15% del valore aggiunto fino al 20% entro il 2030. Il divario da colmare somiglia a un abisso: dal 2000 al 2012 la redditività media dell’industria tedesca è cresciuta dal 3,9% al 7,1% mentre quella italiana si è mossa nel senso opposto, calando dal 6,8% al 3,1%. Insomma senza una vera politica industriale il gap non si chiuderà.

I punti positivi del  piano italiano

E tuttavia Crapelli sottolinea quanto c’è di buono in questo progetto italiano.
«Le misure della proposta – dice – sono tuttora riconosciute efficaci e hanno consentito una maggiore fiducia da parte degli imprenditori, capi azienda, investitori, circa la determinazione del Paese attraverso il suo esecutivo a perseguire la trasformazione e la reindustrializzazione del nostro sistema. Si tratta di un’iniziativa che marca una politica industriale che privilegia l’ industria e soprattutto le PMI che investono. E c’è una prima grande differenza rispetto al passato perché si parla di premiare l’investimento tecnologico. Di più, – sottolinea Crapelli – con i bilanci pubblici che abbiamo non si poteva obiettivamente fare».

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Una delle tavole di presentazione del Piano Industria 4.0 del governo
Sono pronte le PMI?

Le medie imprese sono il destinatario migliore possibile perché «hanno risorse umane, finanziarie e competenze per avviare i programmi, i progetti e quindi gli investimenti – secondo Crapelli – Ma non dobbiamo trascurare che Industria 4.0 è qualcosa di più di un insieme di tecnologie indispensabili per le imprese per essere più competitive. Si tratta di un ecosistema con tre pilastri: le tecnologie abilitanti sono il primo; il secondo sono i nuovi business-model che queste tecnologie consentono di attivare e che sono il vero fattore di competitività; infine il terzo pilastro sono le competenze dentro e fuori l’azienda, che rappresentano una sorta di nuova infrastruttura che guiderà lo sviluppo futuro del paese».

Non può fare tutto la politica

La strada è ancora lunga, per quanto la direzione sia quella giusta.
Un altro punto critico del piano italiano è che si differenzia dagli altri programmi nazionali, che prevedono che la diffusione delle tecnologie digitali nelle impresa avvenga per re-ingegnerizzazione pilotata dall’alto: nel caso francese dal governo, da altre imprese hi-tech per Usa e Germania. La peculiarità italiana è quella di lasciare libera iniziativa alle sue PMI, senza porre limiti di alcun tipo: né ai settori né alle innovazioni possibili. Una libertà che si spera le imprese sapranno esercitare correttamente.
«Certamente non può fare tutto la politica; – chiosa il consulente – fare sistema per difendere aziende non difendibili, che non hanno innovazione e aggressività necessarie a stare sul mercato, rischierebbe di rendere vano qualunque tipo di iniziativa di sistema».

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OC LAB Tecnologie di teleassistenza per Industry 4.0, Polo Meccatronica Rovereto. Le PMI hanno gli strumenti per prendere in mano le redini del loro futuro.

Insomma, gli strumenti ci sono e ora sta alle aziende prendere in mano le redini del loro futuro nel nuovo mondo che si sta delineando. E se una nuova iniziativa di sistema fosse implementata in una seconda fase, questa «dovrebbe promuovere la realizzazione di un vero mercato dei capitali in Italia – prosegue Crapelli – che consenta di disporre di nuovi soggetti che affianchino le banche nel finanziare i progetti delle medie imprese e che, a sua volta, imponga alle imprese stesse trasparenza, modelli di governance, cda e management compatibili con il fatto di essere sul mercato dei capitali».

Riportare le imprese a essere competitive

Quest’ultimo del mercato dei capitali è un passaggio che Crapelli ritiene necessariamente quello conclusivo di Industria 4.0, ovvero la realizzazione della competitività del sistema « in un contesto maturato nell’ultimo anno e mezzo e che determina un maggiore protezionismo o attenzione da parte dei singoli Paesi, in particolare europei, nel proteggere l’occupazione e le ricadute industriali delle proprie imprese. Questo fenomeno è reso ancora più violento dalle prese di posizione di Trump che sembrano voler spingere a un vero protezionismo.

Da anni ormai non è più sostenibile una strategia di “campioni nazionali domestici” – continua Crapelli – perché le dimensioni per essere campioni devono essere almeno quelle di taglia europea. Stiamo dunque assistendo a un fenomeno di consolidamento nei vari settori industriali dettato dalle leggi della competitività e dalla capacità di investire per creare valore industriale prima che finanziario, non da misteriose trame geopolitiche». Le nostre medie aziende sono vulnerabili ad acquisizioni come lo sono state e lo sono ancora le grandi aziende e «fare sistema significa soprattutto mettere le imprese grandi e medie nella condizione di essere competitive e di poter scegliere se essere predatori o prede sul mercato».

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Operai dell’ Eni. Le grandi società italiane sono leader mondiali grazie a innovazione e ricerca

Ci vuole una politica industriale europea

Per quanto riguarda le grandi imprese ci sono casi virtuosi di società italiane che sanno essere leader mondiali, come ad esempio, Fincantieri o Enel o ENI; posizioni raggiunte attraverso innovazione e ricerca o acquisizioni sul mercato globale o ridefinizione del business. «Questa accelerazione attraverso M&A di aziende o di tecnologie/competenze/mercati per essere attuata efficacemente in Europa implica che i vari Paesi rinuncino a misure di difesa o protezione unilaterali e che si concordino protocolli di misure simmetriche e reciproche.

Questo è necessario – prosegue Crapelli – per mitigare i rischi e bilanciare le ricadute del consolidamento, come la ricollocazione o chiusura di stabilimenti, la riallocazione di investimenti tecnologici, la difesa dell’occupazione e delle competenze, la concentrazione di domanda finanziaria da un Paese all’altro, le conseguenze per le catene di fornitura e per gli indotti, lo spostamento dei quartieri generali e delle competenze manageriali, la perdita di clientela per le banche». Crapelli conclude invocando una politica industriale europea che «indirizzi e acceleri il consolidamento europeo, distribuendo vantaggi e sacrifici tra i Paesi e promuovendo crescita e investimenti nei nuovi settori ad alta tecnologia, invece che costringere alla difesa della presenza in settori maturi di aziende non sempre competitive».














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