Carlo Bonomi: ci vuole un nuovo metodo associativo, il Nord

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Carlo Bonomi, presidente di Confindustria

  Il testo completo relazione del neopresidente di Assolombarda, che vuole cambiare fisco, relazioni industriali e tanto altro. E al governo dice che….

Protagonisti del nostro futuro. Comincia oggi per me un impegno di grande responsabilità. Essere il quindicesimo Presidente di Assolombarda, da quando nel 1946 lo divenne per la prima volta Giovanni Falck. È un compito difficile. Voglio innanzitutto condividere con voi le ragioni che mi hanno incoraggiato ad assumerlo e che da anni, da quando ho iniziato nel Gruppo Giovani Imprenditori, mi hanno dato quella passione, impegno ed entusiasmo per questa associazione. Negli ultimi dodici anni, Assolombarda ha avuto come presidenti – che hanno svolto il loro mandato con dedizione – due grandi imprenditori e un importante manager. Era venuto il momento di rappresentare una delle peculiarità di Confindustria. La nostra associazione vive infatti della forza di rappresentare insieme multinazionali e grandi imprese, ma al contempo la maggioranza di imprese medie e piccole. Tutte unite nello sforzo comune di crescere nella scala del valore e dei valori, degli investimenti e dell’export, del capitale umano e della coesione sociale. Vi sono molto grato di averlo voluto dimostrare, attraverso la fiducia che mi avete espresso. Perché i piccoli e i medi imprenditori hanno in Italia testa e cuore come i grandi.







Uniti si vince

Ed è solamente tutti uniti, che riusciremo a recuperare i gap della più profonda crisi italiana del dopoguerra, e a tornare a ritmi di crescita superiori al 2% annuo, in una visione comune che parta dai territori. No a protezionismo e populismo Assolombarda negli ultimi quattro anni ha dedicato le proprie energie a ridare fiducia alle imprese, puntando sulle loro eccellenze come motore della ripresa del nostro Paese. Negli ultimi mesi abbiamo tuttavia assistito a eventi che influenzano pesantemente l’andamento europeo, nazionale e lombardo. L’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti è avvenuta tra grandi timori di un’ondata protezionista, e di severi colpi al commercio internazionale. È in crisi il grande schema di trattati multilaterali del commercio tra le rive dell’Atlantico e del Pacifico. E non s’intravvede ancora con chiarezza con che cosa sostituirli. Gli USA puntano a grandi accordi bilaterali con Cina e Russia. Per l’Italia produttrice ed esportatrice, è un grande rischio se l’Europa resta a guardare. Intanto è molto positivo che Italia ed Europa abbiano subito ribadito a Cina e India che, per noi, gli accordi ambientali della COP21 restano, e che in nessun caso il recesso degli USA può ostacolare l’impegno a un vero salto delle tecnologie “verdi”.

La questione Brexit

La Brexit resta un tema irto di pericoli. Al referendum – ormai di un anno fa – hanno fatto seguito elezioni anticipate che non rispondono a una domanda centrale. Londra avrà o meno un approccio cooperativo con la Ue, nei 2 anni di trattativa davanti a noi? Se il Regno Unito rinuncia alle 4 libertà di circolazione, a cominciare da quella delle persone, non potrà avere il mercato unico. In quel caso, l’Italia dovrà fare il possibile per limitare ripercussioni negative sul terreno commerciale e della finanza. E tuttavia diciamolo: la scelta fatta dai francesi per l’Eliseo ha interrotto la spirale della sfiducia. Il grande senso di responsabilità mostrato dall’elettorato francese e i crescenti segni di confermata stabilità tedesca indicano una prospettiva positiva. Come ha ben detto Mario Draghi, la maggioranza silenziosa a favore dell’Europa e dell’euro è tornata a esprimersi. Non significa, come molti credono in Italia, che ora sarà Macron a ribaltare il rapporto con la Germania, e a risolvere problemi e ritardi italiani la cui colpa è solo nostra. Significa però che populismo e protezionismo non sono affatto destinati a vincere. Indica con forza che il malessere delle vittime della crisi, degli spauriti della globalizzazione, di chi teme il radicalismo islamico e l’immigrazione di massa, può e deve avere risposte credibili da parte di classi dirigenti capaci di innovare a fondo le nostre società e i nostri mercati.

Il sistema del credito

Per questo, Assolombarda vuole e deve battersi perché l’Italia tenga la barra dritta. L’Italia, Paese trasformatore a finanza pubblica stressata, con un rilevante problema nel sistema bancario, in forte ritardo nel recupero degli investimenti, con il Quantitative Easing della BCE in via di esaurimento, deve assolutamente guardarsi da due errori: abbracciare le spinte isolazionistiche e concorrere alla crisi dell’euro. Troppe parti della politica italiana strizzano l’occhio a questi due enormi rischi. Un’Europa e un’Eurozona in frantumi ci renderebbero tutti ancora più fragili sui mercati mondiali. Per chi non l’avesse ancora capito, non abbiamo scelta. L’unica soluzione è procedere con coraggio sulla via europea. Così facendo, troveremo le soluzioni agli insuccessi delle politiche europee degli ultimi anni. i gap da recuperare In Italia, Milano e la Lombardia sono tornati a trainare l’economia: ma molto resta da fare.

Produzione manifatturiera

La produzione manifatturiera della Lombardia a fine 2016 è risalita a -7,3% rispetto al picco precrisi, l’Italia segna ancora -21,6%. Il clima di fiducia della manifattura e del terziario innovativo nei nostri territori è molto più elevato del dato nazionale, il 76,3% delle imprese del nostro territorio esportano, e il 56,1% verso i Paesi extra Ue. L’export lombardo sul 2008 registra un +50% verso la Cina, +37% verso gli USA, +17% complessivamente verso i Paesi extra Ue. Il numero delle imprese attive lombarde a fine 2016 raggiungeva quota 815 mila, confermando la risalita iniziata nel 2015. Purtroppo le nostre manifatturiere continuano a diminuire: sono scese a 97 mila a fine 2016, seguendo un tasso del -1,2% annuo, sostanzialmente come in tutto iI Nord. Ma esaminiamo i dati dell’occupazione rispetto al 2008. A fine 2016 la Lombardia contava 54 mila occupati in più, con un fortissimo innalzamento del capitale umano, poiché gli occupati laureati sono 210 mila in più, rispetto a 216 mila in meno con licenza media. È rilevante e positiva una forte dinamica femminile, visto che sono occupate +75 mila donne rispetto a -21 mila uomini. Ma, come in tutta Italia, gli occupati aggiuntivi sono compresi nelle fasce anagraficamente più avanzate: dal 2008 in Lombardia 530 mila occupati in più nella fascia 45-64 anni, e 404 mila in meno nella fascia 25-44 anni. Siamo comunque a un tasso di occupazione del 66,2%, rispetto al 57,2% italiano e al 74,7% della Germania.

I gap da recuperare

Ma non possiamo dirci soddisfatti. I gap da recuperare rispetto al 2008 sono chiari. I prestiti bancari: al 4° trimestre 2016 in Lombardia siamo ancora a un -14%. I fallimenti d’impresa: calano, ma restano ancora doppi rispetto al 2008. Gli investimenti fissi lordi in Lombardia: siamo ancora -24,3%. L’occupazione femminile: se dall’attuale 58,1% in Lombardia realizzassimo la parità di genere, significherebbe non solo avere 515 mila occupati in più, ma soprattutto poter contare su un patrimonio di competenze e sensibilità di cui oggi ci priviamo, e che solo le donne possono esprimere. È proprio per superare questi gap, che Assolombarda deve darsi alcune nuove priorità in tempi rapidissimi. Esaminiamole. La quarta rivoluzione industriale La missione prioritaria di Assolombarda per il 2017 è spingere il piede sull’acceleratore, per il massimo utilizzo possibile della rilevante somma di super e iper incentivi agli investimenti disposti nella Legge di Bilancio 2017.

Carlo Calenda
Carlo Calenda, Ministro dello Sviluppo economico

La Quarta rivoluzione industriale

La “quarta rivoluzione industriale” occorre realizzarla subito, in concreto. Il nostro compito è di attuarla interpretandola al meglio secondo il modello non tedesco ma italiano, incentrato sulle piccole e medie aziende. A questo scopo Assolombarda deve aprire tra i propri associati nuovi specifici cantieri, atti a estendere e diffondere in maniera misurabile le migliori prassi nazionali e internazionali. Cantieri volti a ottimizzare i processi produttivi, a supportare i processi di automazione industriale, a favorire la collaborazione produttiva attraverso tecniche avanzate di pianificazione distribuita, gestione integrata della logistica in rete e interoperabilità dei sistemi informativi, gestione e valorizzazione delle nuove skill richieste ai nostri collaboratori, fondate non solo sulla flessibilità, ma su una sempre crescente multidisciplinarietà. Otre a questi cantieri, Assolombarda deve mettere a punto una partnership con i grandi intermediari del credito. Serve una piattaforma Assolombarda di selezione e accompagnamento dell’accesso al credito per gli investimenti super e iper agevolati, a fronte di piani concreti presentati – singolarmente e per filiera – da parte dei nostri associati.

Non è pensabile che una piccola o media impresa possa decidere un percorso di investimenti così importante senza poter contare su un partner finanziario che garantisca certezza e affidabilità nel medio-lungo periodo. Bisogna puntare al primato nazionale di aumento degli investimenti delle imprese di Assolombarda, lavorando ventre a terra nei pochi mesi ancora a disposizione delle agevolazioni esistenti. Su questa base, come Assolombarda ci candidiamo a realizzare un grande evento nazionale di Confindustria, incentrato sulla Partnership d’impresa. La globalizzazione muta velocemente di fronte a noi. Così le catene internazionali del valore, verso le quali dobbiamo accompagnare un numero crescente di piccole e medie imprese. La proiezione nel mondo delle nostre specializzazioni avviene oggi attraverso aree metropolitane incardinate su economie territoriali logisticamente integrate, sinergiche con le proprie eccellenze nella ricerca e nel capitale umano. Tutto questo ci chiama a un aggiornamento dei cluster su cui abbiamo positivamente puntato in passato, distretti e reti d’impresa. Come Assolombarda, vogliamo offrire su questo la nostra esperienza per una riflessione innovativa che non serve solo a Confindustria, ma all’Italia.

Sulle giovani generazioni

Cambiamo marcia sui giovani Ma il capitolo ancora da scrivere di Industria 4.0 è quello che riguarda il lavoro. E innanzitutto le competenze da offrire alle giovani generazioni. Dobbiamo sforzarci di cambiare radicalmente il modo in cui come imprese ci rivolgiamo ai giovani. Se ormai più di 100 mila l’anno abbandonano l’Italia, è perché non vedono un futuro né per sé né per il proprio Paese. La mobilità mondiale dei talenti è un dato di fatto, non riguarda solo l’Italia. Dobbiamo allora creare dei ponti affinché le nostre aziende, Università, centri di ricerca possano comunque avvalersi dei giovani che vanno a formarsi o a lavorare all’estero. Bisogna far avvertire loro che sono i nostri ambasciatori nel mondo, che esistono network per far leva sulle loro capacità, per tenere sempre aperte le nostre porte alle loro eccellenze. E bisogna trovare nuove opportunità per attrarre giovani stranieri. Industria 4.0 la dobbiamo declinare ai giovani come una rivoluzione culturale del lavoro. Fatta non solo di nuove competenze nelle scuole, negli ITS, nelle Università. Ma della competenza transizionale necessaria per orientarsi in un mondo che sarà sempre più fluido, veloce e complesso. Competenze da riconoscere e pagare di più nelle imprese, coinvolgendole sempre più direttamente, a cominciare dal massiccio ricorso all’apprendistato di terzo livello.

Welfare e scuola

Ma guardiamoci intorno: non è di questo che parla il dibattito nazionale. Il tema è invece quello dei robot che distruggerebbero il lavoro. Quando è vero il contrario: le serie storiche dell’economia americana dimostrano che sempre l’innalzamento di ICT e automazione ha creato e aggiunto più occupazione di quella che sostituiva. Oppure, il confronto è sul reddito da cittadinanza. Una scelta di retroguardia assoluta. Perché sostituisce alla centralità del lavoro quella di un sussidio di Stato. Un Paese che sceglie i sussidi sta capitolando. Sta dicendo ai giovani: noi non abbiamo un progetto di crescita per voi, perché possiate mettere su famiglia, per avere dei figli. Sarebbe un’Italia che rischia di diventare un Paese non più esportatore di beni a sempre più alto valore aggiunto, ma di forza lavoro qualificata. Noi non ci rassegneremo mai a questo.

Per i nostri figli dobbiamo volere un Paese dove si premi il coraggio, il merito, le opportunità. Un Paese dove la legalità non è solo fondamento di una società ordinata, ma fattore essenziale di competitività e cultura del mercato. E per farlo dobbiamo avere il coraggio di cambiare il modello della scuola, della sanità, del welfare. Che altrimenti perderanno sempre più sostenibilità finanziaria ed efficacia delle prestazioni. Anche in questa parte d’Italia dove il welfare è più avanzato, perché ha scelto un modello in cui crediamo e che vogliamo estendere, quello di una grande alleanza pubblico-privato. La riforma della Buona Scuola ha portato finora alla messa in ruolo in tre fasi successive di circa 140 mila insegnanti aggiuntivi. Certamente, c’era un enorme problema di precari. Ma se le riforme si riducono ad aumentare il numero di quelli che nella scuola lavorano, allora non va bene. Per un’Italia che torni protagonista la priorità della scuola deve diventare chi la frequenta, non solo chi ci lavora.

Finanza pubblica: la sfida del fisco

La finanza pubblica italiana è molto più stressata ed esposta a rischi di quanto si voglia ammettere. Al di là delle propagande contrapposte, siamo tra i grandi Paesi Ue quello che molto ha beneficiato di flessibilità di bilancio. Ma è servito solo ad accrescere ulteriormente il debito pubblico. Restiamo fanalino di coda nella ripresa del PIL dell’Eurozona. E torniamo a rischiare sullo spread, ora che il QE e i tassi negativi della BCE sono destinati a rientrare e a lasciarci scoperti. La spending review è stata abbandonata. La spesa viene riallocata, non ridotta. È stato un errore. Dobbiamo tornare a contrastare apertamente la pretesa della politica di considerare intoccabile una spesa pubblica che resta pletorica e inefficiente, che non ha mai approfittato degli ingenti risparmi consentiti dall’euro sugli interessi debitori, per modificare peso e perimetro della PA.

Nel 2017, dopo 8 anni, si tornerà a spendere di più per retribuzioni pubbliche. Appaiono sempre più improbabili i risparmi di spesa per anni promessi grazie a un’energica razionalizzazione delle oltre 8 mila partecipate locali. Basterà infatti un atto motivato di ogni presidente di Regione a evitare cessioni e liquidazioni. Sono saltati i nuovi criteri per la nomina alla dirigenza sanitaria e per il salario di merito della dirigenza scolastica. Su tutti questi temi, non possiamo accettare marce indietro. È vero, per le imprese in questi anni non sono mancati benefici positivi dovuti alla rilevante decontribuzione, all’abbattimento della componente lavoro dell’IRAP, alla discesa al 24% dell’aliquota IRES, al super e all’iper ammortamento, agli interventi per le Start Up e le PMI Innovative, al credito d’imposta sulla Ricerca. Ma a fianco a questo ci sono anche stati passi falsi. Il passo indietro sull’ACE.

Il nuovo oneroso regime degli obblighi di comunicazione IVA. È importante anche realizzare quanto viene promesso. Sul Patent Box, prima ancora delle modifiche intervenute quest’anno, il problema è un altro. In 2 anni di teorica vigenza, l’agevolazione è stata richiesta da 1.887 imprese nel 2015 e 1.819 nel 2016. Ma ad oggi i ruling di cui si ha notizia sottoscritti con l’Agenzia delle Entrate sono in tutto meno di 15, tra le imprese grandi contribuenti. Le entrate tributarie continuano a crescere sempre a tassi multipli rispetto all’andamento del PIL, nuove misure come l’estensione dello split payment servono a fare cassa e drenano per miliardi la liquidità delle imprese. Noi non possiamo permettere che la politica continui a dirci che la pressione fiscale sta scendendo, mentre le nostre imprese pagano decine di punti in più dei nostri competitor in Europa. Alle frontiere lombarde la pressione fiscale sul reddito lordo d’impresa è al 28,8% in Svizzera, al 51,6% in Austria, mentre da noi è al 64,8%. E allora, dobbiamo dirlo. Non si rilanciano redditi e consumi senza ritoccare decisamente l’IRPEF, riforma che era stata promessa per il 2018 ma ora è stata abbandonata.

Ecco perché Assolombarda intende promuovere un’ampia consultazione tra strutture associative del Nord. Confrontiamoci sull’opportunità di una credibile, attuabile e sostenibile proposta per razionalizzare i diversi regimi di tassazione oggi vigenti sui redditi, delle persone fisiche e delle imprese. Con l’obiettivo realistico di coprire i costi del welfare, e di prevedere un’imposta negativa sotto la soglia considerata di povertà. Ridefinendo le fiscal expenditures, e avanzando proposte di revisione strutturale del perimetro pubblico. Se non si abbraccia il tema anche dell’IRPEF, che sta diventando un tema generazionale, diventa impossibile mettere mano a una riforma organica del prelievo che torni a ridare al fisco la funzione non più di ostacolo insormontabile, ma di potente incentivo alla crescita. Lavoro: la sfida dimenticata delle politiche attive Il problema numero uno italiano è la persistente stagnazione, anzi l’arretramento, della produttività. Ed è un tema che manca del tutto nell’agenda nazionale delle priorità. Siamo l’unico Paese OCSE che, negli anni 2000-2014, ha segnato -7% di PlL pro capite e -6% di TFP, la produttività multifattoriale. La maggioranza dei principali Paesi OCSE si colloca in un’area compresa tra +5% e +12% di aumento della produttività multifattoriale, e tra +7% e +20% di PIL pro capite. Confindustria, nella sua recente assemblea, ha lanciato la proposta di una decontribuzione triennale per i giovani assunti. Ma la produttività è una sfida che non coinvolge solo fisco, innovazione, investimenti, ICT, classe dimensionale, modelli organizzativi e di governance delle imprese.

Sulle relazioni sindacali

Ci chiede una rivoluzione nelle relazioni sindacali, per portare la contrattazione decentrata sempre più vicina a dove si manifestano concretamente le curve di costo e si decide l’utilizzo degli impianti. Ed è una rivoluzione impossibile senza le politiche attive del lavoro. Il Governo Renzi aveva immaginato una nuova Agenzia Nazionale il cui modello fosse deciso a livello centrale. Ma dopo il 4 dicembre i poteri delle Regioni in materia di politiche attive restano intatti. Ecco perché anche su questo tema Assolombarda vuole confrontarsi con le associazioni territoriali di tutta la Lombardia e di tutto il Nord. Come ha già dimostrato l’esperienza positiva del contratto dei metalmeccanici, con soluzioni innovative, dal welfare aziendale alla formazione, maturate proprio nel cuore dell’esperienza delle imprese e delle associazioni territoriali del Nord. Occorre inoltre elaborare un comune modello che veda affidato al pubblico il ruolo di accreditatore dei soggetti abilitati alla ricollocazione, lasciando liberi coloro che hanno perso il lavoro o lo cercano di impiegare il proprio voucher decidendo individualmente a quale soggetto accreditato, pubblico o privato, devolverlo. La Regione Lombardia è già forte di un suo modello di Dote Lavoro, che va perfezionato. La mano pubblica sia regolatrice degli standard da offrire nelle politiche attive, ma non per questo per definizione suo gestore diretto.

Altrimenti è altissimo il rischio che le politiche attive si risolvano nella semplice ridenominazione dei vecchi centri per l’impiego provinciali, del tutto inadeguati. E si torni a estendere la vecchia CIG in deroga e la mobilità: di questo sta infatti parlando la politica. È una sconfitta alla quale solo noi, tutti insieme, possiamo opporci. Cominciando a farlo noi per primi, nei nostri territori. La citta’ metropolitana: la nuova partnership tra Imprese e istituzioni In questi ultimi 4 anni abbiamo fornito con orgoglio alle istituzioni milanesi e lombarde un quadro organico di indicatori costantemente rilevati e aggiornati. È un metodo operativo che continueremo a seguire. Abbiamo dato un contributo decisivo al successo dell’EXPO, quando molti tifavano contro. Abbiamo scommesso anni prima sui suoi effetti, che dovevano essere progettati come permanenti e duraturi. È nato grazie a noi il progetto su quell’area di un grande polo tecnico scientifico, in cui imprese, Università, istituzioni e centri di ricerca lavorassero insieme con obiettivi condivisi. E che comprende Human Technopole, centro mondiale di ricerca nella mappatura genomica, con l’ambizione di rappresentare un’eccellenza mondiale al servizio della medicina personalizzata (personalized medicine).

Oggi è dunque il tempo dell’azione.

Occorre una roadmap ben delineata, decisioni da realizzare in tempi certi. Tutti noi imprenditori, soprattutto quelli che operano nel settore delle Scienze della Vita, registriamo grande entusiasmo e disponibilità che bisogna non deludere. Per questo occorre sapere con certezza che cosa verrà fatto e quando verrà fatto. Oltre a insistere con ogni energia negli sforzi in corso perché l’EMA, l’Agenzia europea per i medicinali, trovi a Milano la sua giusta collocazione. Perchè per noi EMA non è solo un fattore economico per il nostro territorio, è il valore nazionale della nostra visione e della nostra capacità, un impegno scientifico della Lombardia, e di tutta l’Italia, al servizio dell’Europa. A fianco di tutto questo, però, Milano Città Metropolitana stenta a decollare. Lo sviluppo del progetto Città Metropolitana è necessario per fare dell’area vasta di Milano un’esperienza di successo, moltiplicatrice di valore e di benessere, come altrove è accaduto negli anni a Monaco di Baviera, Barcellona o Lione. Per questo, Assolombarda riprenderà una marcatura stretta dei troppi problemi concreti della Grande Milano su cui istituzioni e politica tendono a rinviare ed eludere. Come realizzare tutto questo?

Un nuovo metodo associativo: il nord

La riforma Pesenti ha chiamato il sistema Confindustria a snellire e semplificare le associazioni territoriali e di settore. E in questo spirito si è positivamente realizzata la fusione tra l’Associazione territoriale di Milano e quella di Monza e Brianza. Ma la riforma chiede anche a noi tutti una modalità di confronto e decisione maggiormente orientata a una dinamica più bottom up che top down, e a un potenziamento delle vocazioni e specializzazioni territoriali. È uno strumento prezioso, che ora dobbiamo concretamente attuare nelle nostre modalità operative. A maggior ragione per due ordini di motivi. Il primo è la lenta ripresa italiana degli anni 2015-16. Essa è territorialmente molto differenziata: i gap territoriali di occupazione e reddito pro capite si sono ampliati negli anni 2000, e più nel dopo crisi.

Il secondo è la realtà consegnataci dal referendum dello scorso dicembre. Il Governo Renzi puntava a un riaccentramento di competenze strategiche allo Stato centrale rispetto alle Regioni. Ma così non è stato. Ora imprese e cittadini rischiano di pagare le conseguenze di importanti pezzi di riforme che risultano inapplicabili, a cominciare dal Jobs Act e dalle grandi opere infrastrutturali. Per queste ragioni, come Assolombarda dobbiamo innovare le nostre metodologie operative. Il sistema Confindustria deve restare più che mai unito. È la sua forza, più che mai necessaria in un Paese per molti versi ancora lontano dall’impresa. Ma occorre rafforzare criteri di coinvolgimento trasversali, e di collaborazione per elaborare comuni proposte da avanzare.

Tra territori analoghi e settori produttivi qui al Nord, che insieme condividono la vocazione di proiettarsi nel mondo accrescendo la forza delle rispettive aree metropolitane. Il Nord non è Roma, come Roma non è il Sud. Solo confrontando insieme le proposte distinte maturate tra imprenditori del Nord e del Sud esiste una soluzione equilibrata della crescita nazionale tra aree tanto diverse. Per questo Assolombarda si farà promotrice di una serie di iniziative volte a ridisegnare visione, capacità di proposta, incisività nell’agenda pubblica, in modo più adeguato alle nuove specificità che la questione settentrionale pone come sfida alle nostre imprese. Così da poter esercitare con sempre più forza la funzione di traino solidale del Paese, sciogliendo le mani e le potenzialità delle imprese dai troppi vincoli che continuano a stringerle.

Vincenzo Boccia, Presidente Confindustria

Conclusioni

Carissimi colleghi, caro Vincenzo che ringrazio di essere qui tra noi, voglio approfittare di questa occasione anche per una riflessione generale. Siamo chiamati a un compito difficile, ma necessario. Il nostro messaggio deve essere chiaro. Occorre ritrovare nella nostra società la capacità di avere un dialogo che sia sempre rispettoso, anche nelle divergenze. Basta delegittimare le istituzioni. Basta caccia alle streghe sul fronte delle imprese. L’Italia purtroppo fatica ancora a comprendere l’impresa, come motore dell’attività, della creatività, dello sviluppo. Fatica a riconoscere “La Fabbrica”, luogo che crea ricchezza, certo, ma anche lavoro e, sicuramente, coesione sociale. E basta delegittimazione continua tra parti politiche, che si considerano non avversarie ma nemiche. Delegittimare l’avversario rende un pessimo servizio a tutti. A noi imprenditori e all’Italia. Proietta l’immagine di un Paese perennemente instabile, sospeso di nuovo sull’orlo dell’ingovernabilità. Dobbiamo innanzitutto esprimere un sentimento di gratitudine a chi esercita l’essenziale funzione di custode e interprete dell’unità delle istituzioni: il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

E desidero aggiungere la nostra comprensione per il compito che sta svolgendo il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. La sua azione è sottoposta ogni giorno al tumulto dei partiti, che pensano soprattutto alle elezioni. Motivo in più per apprezzare il senso della misura con cui tutto il Governo, qui rappresentato dal Ministro Calenda, svolge il suo mandato. Le istituzioni hanno bisogno di sobrietà e di fare sistema. Come Confindustria dobbiamo tornare a esercitare un’azione ferma perché tutti i rappresentanti delle istituzioni e della politica tengano comportamenti corretti, che diano credibilità agli incarichi ricoperti. Altrimenti, la sfiducia vince e il populismo cresce. Come comunità di imprese, noi per primi dobbiamo impegnarci a tenere alti i nostri toni, a evitare ogni personalismo. Solo così possiamo essere uniti e fieri delle nostre imprese, orgogliosi di portare l’Italia nel mondo. Proprio per questo, però, dobbiamo anche essere pronti ad ammettere i nostri errori. Basta silenzi sul sistema bancario, e sulle prassi di malagestione e depredazione emerse nelle banche su cui indagano le Procure. E abbiamo taciuto troppo anche su Alitalia.

Interroghiamoci, su un Paese che attribuisce a un’impresa fallita, sia sotto gestione privata sia sotto quella di Stato, l’ennesimo prestito-ponte pari a 6 volte quanto l’intero sistema del venture capital italiano dà alle Start up in un anno. C’è qualcosa che non quadra, è come guidare guardando solo allo specchietto retrovisore. Noi vogliamo essere classe dirigente seria: no alle barricate, contro nessuno, ma troppi sembrano aver perso di vista le necessità del Paese. Non abbiamo bisogno di elezioni anticipate, se mettono da parte le ragioni dell’economia. Non ci piace una legge elettorale proporzionale che lasci i partiti a mani libere, e impedisca agli elettori di scegliere coalizioni e programmi di governo. Caro Vincenzo, noi ti daremo un grande supporto. Entrambi abbiamo però ereditato una situazione difficile che, per il nostro ruolo istituzionale, non possiamo ignorare: dalla vicenda del Sole non usciamo bene.

È un grande asset, per la cultura e l’informazione economica nazionale. Ma agli occhi dell’opinione pubblica il sistema Confindustria è apparso come poco incisivo proprio nell’esercizio di quelle funzioni di controllo e di sana gestione che noi tutti chiediamo per il nostro Paese. Noi saremo pronti a dare tutto il sostegno necessario, perché Il Sole torni ad avere solidità finanziaria ed efficienza gestionale. Per avere un asset che insista sull’informazione di qualità, garanzia di migliore democrazia politica ed economica, ancor più essenziale in tempi di crisi e di distorsioni della pubblica opinone con le fake news. Ma tutti insieme dobbiamo dare prova che quei gravi errori ci hanno insegnato molto, che ne avvertiamo il peso, e che non sono più destinati a ripetersi. È in questo spirito, cari colleghi, che svolgerò il mio compito seguendo la linea di una “Assolombarda Unita”. Al termine del mio mandato, penso che non si sentirà più nominare Milano, Monza e Brianza e Lodi.

Perché noi siamo Assolombarda, 5.800 imprese, un’associazione unica. Una casa dove gli imprenditori non hanno confine e dove nessuno deve avere la sensazione di sentirsi ospite a casa propria. Tradizione, concretezza, innovazione, creatività e ascolto saranno le parole chiave della mia Presidenza. Un atto doveroso, e consentitemi d’amore, verso il nostro territorio, le sue capacità, la ricchezza del suo modello. È il capitale sociale ciò che rende coesa una società, forti le sue imprese, funzionanti le sue dinamiche sociali, partecipate le sue istituzioni. Parafrasando Adriano Olivetti tutto questo potrebbe sembrare utopico. Ma è vero il contrario. Considerare utopia le grandi ambizioni è la maniera più comoda per rinunciare a ciò che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci, e allora può diventare qualcosa di molto più grande! Questo vogliamo essere come Assolombarda. Protagonisti del nostro Futuro.














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