Bosch Italia: nuove acquisizioni nel mirino (dopo Albertini) e +8% come target di crescita 2017

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di Laura Magna ♦ La multinazionale tedesca  della componentistica e sensoristica  affronta agguerrita la sfida 4.0 puntando sull’ IoT, in particolare per l’automotive, e con investimenti importanti nei semiconduttori. Una  strategia a tutto campo, spiegata a Industria Italiana dall’ AD per l’ Italia Gerhard Dambach

Una nuova acquisizione in Italia, che si chiuderà a fine giugno, nel settore dell’energia, dopo quella appena annunciata nel settore automotive della Albertini Cesare spa. Una crescita del fatturato a 2,6 miliardi di euro a tutto il 2017. Sono le previsioni per il mercato italiano di Bosch, la multinazionale tedesca fornitore globale di tecnologie e servizi e sopratutto leader mondiale nella produzione di sensori, sia sensori di tipo semplice e sia soprattutto i sensori complessi per automotive e altri settori. Questo primato è una delle ragioni che rendono Bosch una delle aziende che dettano le regole dell’ Industry 4.0 e della manifattura mondiale. In particolare, insieme a Siemens, Bosch è stata una di quelle aziende che hanno inventato, in Germania, il concetto di Industry 4.0, che è stata proposta nel 2011 nell’ambito dell’High Tech Strategy for Germany, un documento di politica industriale realizzato dal Governo, in collaborazione con i Lander regionali, le università e le aziende. Oggi che l’Industry 4.0 è un fenomeno mondiale che sta cambiando la vita di tutti, sono quattro i colossi multinazionali che ne elaborano e impongono gli standard: le già citate Bosch e Siemens, General Electric e ABB. Grazie ai circa 390.000 collaboratori impiegati in quattro settori di business   il gruppo Bosch ha un giro di affari globale  di circa 73 miliardi .

Bosch, la sede italiana

L’azienda è stata fondata a Stoccarda nel 1886 da Robert Bosch (1861-1942) come “Officina di meccanica di precisione ed elettrotecnica”. La Fondazione di pubblica utilità Robert Bosch Stiftung GmbH detiene il 92% delle partecipazioni della capogruppo Robert Bosch GmbH a cui fanno capo circa 440 tra consociate e filiali in oltre 60 Paesi. Bosch, quindi, è tra i pochissimi colossi multinazionali a non essere quotato in Borsa. Se si includono i partner commerciali e di servizi, la rete di produzione e vendita di Bosch copre quasi tutti i Paesi nel mondo.







La base per la crescita futura della società è la forza innovativa: 59.000 sono i collaboratori Bosch impegnati nella ricerca e sviluppo in circa 120 sedi in tutto il mondo.Una consolidata competenza nella tecnologia dei sensori, dei software e dei servizi, oltre che nel proprio cloud IoT, consente a questa azienda di offrire ai clienti soluzioni connesse, cross-domain da un’unica fonte. Per l’industria ma anche in generale per la vita. “Tecnologia per la vita”, non a caso, è l’headline che campeggia ovunque sotto al logo del gruppo tedesco.

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Gerhard Dambach, amministratore Delegato del gruppo Bosch in Italia.

L’Italia secondo Bosch

Un mondo complesso quello di Bosch, che in Germania è uno dei gruppi, insieme a SAP e Siemens, su cui poggia la rivoluzione industry 4.0. e che in Italia vede immense potenzialità. «L’ultima acquisizione è  stata portata a termine dalla divisione che utilizzava in precedenza i prodotti della Albertini, la Automotive Steering che produce sistemi sterzanti per tutte le case automobilistiche», spiega a Industria Italiana Gerhard Dambach, amministratore Delegato del gruppo Bosch in Italia. «Questi sistemi hanno bisogno di un pezzo molto complesso in alluminio che ospita tutti i componenti meccanici, elettrici ed elettronici, e solo Albertini ha il know how necessario. Sapremo utilizzare al meglio questa azienda al nostro interno, ora che non è più un fornitore».

La Albertini Cesare Spa, è una storica azienda fondata nel 1932 da Cesare Albertini, padre dell’ex sindaco di Milano, Gabriele, rimasto ora nel consiglio di amministrazione ma senza più quote societarie. É specializzata nella produzione e lavorazione di alluminio pressofuso, componentistica destinata soprattutto all’industria automobilistica, e ha   il suo  quartier generale a Villasanta, alle porte di Monza:  a inizi 2017   contava oltre 400 addetti e altri due siti produttivi in Lombardia, a Cormano e a Turate e uno in Veneto, a Quero. Secondo fonti di stampa, l’acquisizione, conclusa ai primi di giugno di quest’anno, sarebbe stata in qualche modo accelerata  dalla situazione finanziaria non florida dell’azienda, in difficoltà nel  rispettare i tempi stabiliti  nella consegna dei pezzi, le scatole nelle quali sono alloggiati gli sterzi delle auto, con  un effetto negativo sulla regolarità delle forniture Bosch nel settore automotive a importanti case automobilistiche. Anche per questo motivo sarebbe maturata la decisione  di prendere in mano direttamente la produzione di un componente strategico e di inglobare un importante know how.

Ma lo shopping italiano non si è ancora concluso. «Tra due settimane potremmo annunciare l’acquisizione di una seconda società, sempre nel Nord Italia e nel settore dell’energia, con circa 400 dipendenti», dice Dambach che non fornisce ulteriori particolari e non esclude che ci possano essere ulteriori operazioni straordinarie .E poi precisa «l’integrazione di una società richiede anche due anni dall’inizio delle trattative, perciò è difficile sapere con certezza quando gli accordi si chiudono».

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La presenza Bosch in Italia

E’ un dato di fatto che l’interesse di Bosch per le nostre PMI resta elevato. Il gruppo è presente in Italia dal 1904, anno in cui fu inaugurato il primo ufficio di rappresentanza a Milano. Lo sviluppo entro i nostri confini è proseguito negli anni con l’ampliamento delle aree d’interesse, e con la trasformazione da semplice sede commerciale a vera e propria realtà industriale. Nel 2016, Bosch Italia con i suoi 5.800 collaboratori ha conseguito un fatturato di 2,4 miliardi di euro. Con 20 società e 4 centri di ricerca, l’Italia è per il gruppo uno dei mercati più importanti a livello mondiale, e considerando l’acquisizione di Albertini e quella della misteriosa società dell’energy già citate, le aziende in portfolio a fine giugno diventeranno 22.

Dambach ci spiega le ragioni di tanto interesse :«L’Italia è un mercato su cui Bosch vuole investire attivamente perché tutte le aziende che abbiamo acquisito per le loro specificità uniche al mondo in Italia restano e lavorano in Italia. L’obiettivo è portare il fatturato locale dagli attuali 2,4 miliardi a 2,6 miliardi nel 2017. Abbiamo a oggi in Italia 6200 collaboratori, che diventeranno 6500 a fine anno; con la prossima acquisizione i centri di ricerca passeranno a 5. Le aziende italiane, anche quelle di piccole dimensioni, hanno spesso centri di R&S interni. In Italia c’è il know how che manca nel resto del mondo», precisa Dambach.

E non si tratta di una valutazione positiva solo parziale sul sistema paese, ma complessiva. Dambach crede che la posizione dell’Italia, anche dal punto di vista della macroeconomia, sia la migliore in Europa:« Sono state fatte le riforme che toccano popolazione e cittadino e c’è tanto da fare nella Pubblica Amministrazione. E’ vero che il mercato è ancora molto basso, ai livelli degli anni ’60 e ’70, ma questo vuol dire che lo spazio di crescita è enorme. L’economia sta ricominciando a funzionare e anche se la disoccupazione è alta, ora abbiamo l’opportunità di valorizzare il lavoro ». Dambach sottolinea come ci sia una alta qualità del lavoro nelle aziende italiane. All’ interno di Bosch Italia una azienda di Bari, ha «vinto tutti premi per la qualità a livello gruppo, concorrendo con altre 350-400 ».

«Se parliamo di investimenti,- continua Dambach – il fatto che ancora oggi continuiamo a investire in Italia, vuol dire che la tecnologia non manca, anzi che tecnologie sviluppate in Italia hanno un grande valore. E che i margini, certamente, sono per noi soddisfacenti. Tanto che Bosch non trasferisce le produzioni delle aziende acquisite all’estero ma trasforma queste unità italiane in centri di competenza per tecnologie specifica, punto di riferimento a livello mondiale. Solo in Italia è presente questo elemento: e per Bosch l’acquisizione attiva di produzione è una strategia di recente attuazione valida solo in Italia dove investiamo circa 45 milioni su base annua in R&S ».

Un’altra caratteristica dell’Italia è che in Italia Bosch ha bisogno di più persone per milione di fatturato, perché il valore aggiunto della produzione è molto alto.«Le PMI italiane sono aziende ad alta intensità di personale- spiega Dambach. -Se ho un lavoro di competenza la competenza si riflette sul valore aggiunto; ho bisogno di personale. Integrare queste aziende in un grande gruppo non è facile ed è la ragione per cui tanti non riescono a fare buone acquisizioni in Italia. Non è il caso di Bosch, che lo fa con soddisfazione da anni e intende continuare, perché il vantaggio, una volta superate le difficoltà dell’integrazione è nettamente superiore».

Bosch worldwide, fattturato per settore

 

Bosch nel mondo

Il gruppo ha presentato di recente a Milano i numeri dell’ultimo bilancio italiano. A livello mondiale, il fatturato 2016 è arrivato nel suo complesso a 73,1 miliardi, in crescita del 3,6% rispetto ai 70,6 miliardi del 2015. Ma, al netto degli effetti negativi del cambio, che hanno pesato per 1,3 miliardi sul valore totale, e degli investimenti, le vendite sarebbero aumentate del 5,5%. Un dato che la stessa Bosch definisce sorprendente. Ma per riuscire a leggere correttamente questi numeri è necessario capire come è strutturata l’azienda, che ha quattro settori di business: mobility solution; industrial technology; consumer goods; energy e building.

Il settore preponderante, che vale il 60% del fatturato, è ancora quello delle soluzioni per la mobilità,vale a dire l’automotive, che ha totalizzato un fatturato di 43,9 miliardi dai 41,7 del 2015 (+5,5% in valore nominale, in valore reale la crescita è di circa il 50% più alta); i beni di consumo valgono 17,6 miliardi, in aumento del 2,5% rispetto al 2015. A seguire la tecnologia per l’industria che mostra un calo a 6,3 miliardi dai 6,6 di un anno prima (-5,2%) e infine l’energia e la tecnologia dedicata alle costruzioni che ha un valore di 5,1 miliardi, in crescita dell’1,7% rispetto al 2015.

«Il settore che ha segnato i migliori risultati è quello che fa riferimento all’ l’automotive: la crescita reale segnata è dell’8%, inglobando anche i primi mesi del 2017, ed è un ottimo dato per quella che è senza dubbio un’industria matura», spiega Dambach. «Il mercato dei consumer goods, nonostante una crescita modesta dei consumi mondiali ha archiviato l’anno con un +4,5% in termini reali; il settore delle soluzioni industriali, rappresentato dalla Rexroth, negli ultimi mesi è uscito dal tunnel negativo e quest’anno ha già ripreso a crescere. L’energia e tecnologie costruttive vedranno invece l’incremento negli anni a venire».

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Bosch, fatturato globale disaggregato per Regione

Quanto alla geografia del business, l’Asia (28% del giro di affari di Bosch) è il continente con il passo più rapido, ma non è l’unico driver della crescita. L’80% dell’incremento del mercato asiatico, che è ammontato al +10% in termini reali, è stato realizzato in Cina ; ma anche l’Europa, che vale il 53% del fatturato complessivo, regge bene: «un mercato maturo che cresce del 3,5% mi sorprende, rispetto a una pianificazione che era molto più modesta. Ed è già il terzo anno che mostra un incremento interessante. Il Nord America ha presentato numeri record, ma non può crescere costantemente a questi ritmi e ora c’è stata una correzione del -2,5%, che però è del tutto fisiologica. Che l’America del Sud non avrebbe contribuito lo sapevamo: insomma in generale il trend è più che positivo a partire da quest’anno in cui la nostra industria sta riprendendo quota», sintetizza l’amministratore delegato.

Se il fatturato cresce, l’andamento dell’EBIT ha mostrato una flessione a 4,3 miliardi dai 4,6 del 2015, «ma in questo numero è contenuto un investimento fortissimo in R&S – spiega Dambach -. Ci sono così tante aree che chiedono un investimento, che non siamo in grado di tenere la quota fissa. R&S era storicamente intorno a una quota del 10%, che è molto più alto rispetto a quello che può permettersi una società quotata, ma il vantaggio di avere come azionista una Fondazione è proprio questo: che possiamo investire di più. Nel 2016 abbiamo avuto una diminuzione in valore percentuale dovuto a due acquisizioni, due divisioni che hanno fatturato 17 miliardi di euro aggiuntivi, ma che hanno una quota di investimento in R&S molto più bassa rispetto al resto, il che ha portato a una riduzione del valore in percentuale. In valore assoluto abbiamo aumentato gli investimenti: 5 miliardi nel 2014; 6,4 nel 2015 e 7 miliardi lo scorso anno e questo ha impattato anche negativamente sull’EBIT».

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Bosch, gli investimenti in Ricerca e Sviluppo

Cosa si aspetta Bosch per il 2017? Che l’America del Nord torni a crescere dopo un anno di sviluppo più calmo, che nel Sud di quel continente finisca la crisi e che continui la ripresa già in atto in Europa e soprattutto in Italia. Sull’Asia infine la previsione è di un mercato stabile. «Stimiamo la crescita economica globale al +2,8%, ma sono presenti molti rischi derivanti dagli scenari politici sia in Usa, sia in Europa e dai conflitti militari in corso, soprattutto in Medio Oriente. Perciò abbiamo previsioni di crescita interne piuttosto caute: prevediamo di incrementare il fatturato a tutto il 2017 tra il 3 e il 5%, in linea con il 2016, anche se in base a quanto registrato nei primi 5 mesi siamo andati decisamente meglio. Ma tutto quello che sta succedendo ci spinge alla cautela. L’EBIT è in miglioramento in termini percentuali, il che ci soddisfa in questa fase, ma sappiamo che dobbiamo tenere alto l’investimento in Ricerca & Sviluppo perché dobbiamo aggiungere altre aree di investimento che non avevamo l’anno scorso».

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Il Cloud Bosch

Il futuro? Sta nell’IoT

L’IoT è al centro del cambiamento già in atto nel mondo, non solo industriale, e Bosch prevede una forte evoluzione in questo senso in tutti i suoi quattro settori: «Questa evoluzione non riguarda solo noi bensì tutti i nostri competitor. Qualche anno fa chi investiva in IoT aveva un vantaggio competitivo ma oggi non è più così: se non riusciamo a farlo bene perdiamo competitività », spiega Dambach.

Un settore che sta cambiando pelle, nel senso della trasformazione dettata dalla logica digitale, è quello della mobilità, che per anni ha significato automotive, ovvero fare componenti migliori per il funzionamento delle auto. «Ma oggi questo è un elemento marginale: dovremo concentrarsi su molto altro. La mobilità futura sarà automatizzata, anche nella guida, anzi, le prime macchine autonome si muovono già sulle autostrade e nel giro di cinque anni le vedremo anche all’interno delle città. Abbiamo una mobilità sempre più connessa. Se le auto si parlano con l’ IoT, abbatteremo i rischi connessi alla circolazione.»

«L’automotive diventa elettronico, automatizzato, connesso e multimodale. Mi spiego: non è detto che un viaggio iniziato con una macchina si concluda con la stessa auto, ma può prevedere tragitti in autobus, bus, e car e bike sharing. Stiamo lavorando a un progetto pilota in Germania per il quale attraverso un’unica app con si riesce a pianificare un viaggio con tutti i mezzi disponibili, ovviamente prenotando e pagando online».

Auto elettriche, automatiche quindi, ma soprattutto connesse. Bosch ha lanciato la sua connettivity unit anche per le due ruote. «Si tratta di una tecnologia già disponibile in auto che fa partire una chiamata diretta a un call center specializzato nel caso si verificasse un incidente. Oggi abbiamo esteso questo sistema anche alle moto, dove è molto più difficile capire se la moto è solo caduta o se si tratti di un vero incidente che deve far partire la chiamata. Se si tratta di un vero incidente è uno strumento molto utile perché il pilota difficilmente sarà in grado di chiamare aiuto. »

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Bosch, connettività mobility

«L’unità di connessione – spiega Dambach- non solo chiamerà ma potrà trasferire informazioni su cosa è successo. Il sistema può essere utilizzato per ritrovare il mezzo se viene rubato e forse in futuro anche a fermarlo in questo caso. E ovviamente può essere usato per far parlare i veicoli: se faccio comunicare la moto con l’auto che arriva a velocità alta e io non ho la piena visibilità, i due veicoli identificano il pericolo e la moto può notificarmi uno stop per evitare l’ incidente».

Bosch: connettività mobility

… e nell’industria 4.0

Se il mondo della mobilità sta cambiando grazie all’IoT, l’altro settore in trasformazione su cui Bosch investirà di più nel prossimo futuro è quello della manifattura, al centro  delle trasformazioni dell’industria 4.0. «Innanzitutto il cambiamento interessa  350-400 nostre fabbriche nel mondo che per prime dovranno applicare i principi di industria 4.0. Ma siamo anche un produttore di prodotti per l’automazione e dobbiamo garantire queste soluzioni nel flusso produttivo: anche il nostro prodotto deve essere adeguato al 4.0. Entro il 2020 vogliamo che il 100% dei nostri prodotti elettrici siano connessi alla rete, oggi siamo al 50% e considerando il tempo di sviluppo di prodotto, che è di un anno e mezzo, si capisce la dimensione dello sforzo che vogliamo fare per raggiungere questo obiettivo».

Cosa sia e come funzioni oggi l’industria 4.0 per Bosch, Dambach lo spiega alla luce delle previsioni sulla sua evoluzione. «Oggi si applicano sensori per rilevare un’immagine digitale dell’azienda. E se ne traggono dati per capire meglio cosa fare per tener conto delle situazioni di produzione definite. In futuro non sarà più sufficiente: le macchine devono imparare in autonomia da quello che hanno fatto se nel corso del loro processo produttivo è possibile raggiungere un maggiore livello di efficienza. Ci vuole l’intelligenza artificiale che nulla ha a che fare con il data mining, è uno step ulteriore. Non a caso abbiamo deciso di investire in un centro di competenza dedicato all’IA, distribuito tra Germania, Bangalore in India e Palo Alto in California».

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Bosch, produzione semiconduttori

E questo Bosch lo fa forte di una esperienza nei sensori che data venti anni. «Abbiamo investito in maniera massiccia e siamo i numeri uno al mondo: oggi 3 smartphone su 4 montano i nostri sensori. Ma servono anche i software: 20mila persone lavorano allo sviluppo di software e il 20% di loro fanno software per l’ Internet of Thing. Una delle applicazioni messe a punto è il nostro cloud, che è al primo step: vi abbiamo messo dentro 5 milioni di oggetti».

Bosch ha prodotto fino a oggi 8 miliardi di sensori, 4 milioni ogni giorno. Ma adesso è il momento della svolta. Lo sviluppo dei sensori ha segnato tecnologicamente tre diverse tappe evolutive :  una prima legata all’automotive (1990-2000), una seconda tra il 2000 e il 2010, “consumer”, legata al mondo elettronico, e la terza, quella  che sta arrivando, che riguarda l’ IoT e dal 2020 sarà pervasiva. «Un traguardo che richiederà investimenti molto importanti. Parliamo di un oggetto che può avere milioni di applicazioni. Vestiti sportivi, scarpe, tutti gli oggetti della vita quotidiana che saranno elettrificati e attrezzati con i sensori. Parliamo di sensori e quindi di nanotecnologie, ma anche della loro evoluzione. » chiosa Dambach.

Volkmar Denner, CEO Bosch

Fra le realizzazioni future  ci sarà un nuovo stabilimento per la produzione di semiconduttori a Dresda. Destinata a   soddisfare la domanda sorta dal crescente numero di applicazioni dell’Internet delle cose (IoT) e applicazioni mobili, la nuova sede produrrà chip da wafer di silicio da 12 pollici. Il termine della costruzione dello stabilimento è previsto entro la fine del 2019, mentre la produzione inizierà nel 2021. L’investimento complessivo nella sede ammonterà a circa un miliardo di euro e creerà 700 nuovi posti di lavoro.

«Il nuovo sito produttivo costituisce il più grande singolo investimento nella storia di Bosch», ha dichiarato Volkmar Denner, CEO di Bosch. «I semiconduttori sono i componenti fondamentali di tutti i sistemi elettronici e vengono utilizzati anche nelle nuove applicazioni.» ha detto Denner. Secondo uno studio di PricewaterhouseCoopers, il mercato mondiale dei semiconduttori è destinato a crescere di oltre il 5% all’anno fino al 2019, con una crescita particolarmente forte dei segmenti di mercato di mobilità e IoT. Il cluster della microelettronica di Dresda, anche conosciuto come “Silicon Saxony”, è primo in Europa. Include fornitori del settore automotive e fornitori di servizi, nonché università che offrono competenze tecnologiche.

Bosch, L’unità BML050

I sensori del domani

La controllata Sensortec si occupa in Bosch dello sviluppo dei sensori e in questo momento sta lavorando a un tipo di interfaccia del tutto nuova. Partendo dalla semplice osservazione che il limite dello smartphone è uno schermo troppo piccolo, limite che non è stato superato aumentando le dimensioni del telefono. Ed è inoltre scomodo per condividere informazioni. Bosch ha inventato un sensore che grazie a un laser trasferisce un’immagine su qualsiasi superficie, ma legge anche la superficie dove arriva la proiezione.

«L’unità BML050 consiste in uno scanner MEMS ad alta precisione per applicazioni di proiezione laser interattiva. Si tratta di un componente chiave della soluzione Bosch con proiezione laser a focale fissa e trasforma qualsiasi superficie in un’interfaccia utente virtuale (IU). La soluzione IU virtuale offre a qualsiasi tipo di dispositivo una personalità unica, consentendo alla tecnologia di interagire con le persone. Il sensore è in grado di identificare una mano che tocca un punto sulla superficie. Con questa informazione ogni superficie dove si proietta diventa un touch-screen. Le applicazioni sono moltissime anche perché la proiezione può avvenire a qualsiasi distanza, su qualsiasi superficie e senza necessità di mettere a fuoco perché si tratta di un laser ed è possibile modificare la proiezione semplicemente toccandola. Abbiamo un prototipo in via di definizione. Stiamo lavorando non sulle prestazioni, che è la parte più semplice, bensì su come arrivare all’ industrializzazione, perché dobbiamo riuscire a produrre un componente complesso a prezzi competitivi. Questa è la sfida ». spiega Dambach.

Bosch, lo scanner BML050

Grazie allo scanner BML050, si può creare una IU on-demand di grande precisione. Questa soluzione è  l’ideale per il mondo dell’IoT, per esempio applicata agli elettrodomestici, ai tablet e ai robot sociali. Lo scanner BML050 è una soluzione rivoluzionaria per i proiettori integrati e le applicazioni di realtà aumentata come i videogiochi, l’infotainment e gli HUD ( heads-up display – visore a testa alta, nome derivato dal head-up display usato in aviazione  termine usato nel mondo dei videogiochi per indicare le informazioni costantemente visibili durante il gioco in sovraimpressione ndr.) per auto. Con questa soluzione i dispositivi possono interagire con gli utenti in modo più coinvolgente, intuitivo e semplice integrandosi facilmente con la vita di tutti i giorni degli utenti.

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Bosch Italia, conferenza stampa di presentazione dati economici 2016

REXROTH, soluzioni per le aziende

Di particolare interesse per Industria Italiana è la divisione Rexroth del gruppo Bosch, quella che si occupa di tecnologie industriali. In dettaglio, Bosch Rexroth è leader mondiale nel campo delle tecnologie per l’azionamento e il controllo. La Drive & Control Company sviluppa, produce e vende componenti e sistemi di soluzione in più di 80 paesi nel mond: Mobile Applications, Machinery Applications and Engineering e Factory Automation.

Con un portfolio prodotti che comprende tutte le tecnologie, così come un’offerta completa di servizio e supporto, Bosch Rexroth si propone come il partner ideale per l’intero ciclo di vita della macchina. «Rexroth è specializzato sull’ approccio bottom-up nell’area dell’industria 4.0. -spiega Dambach- .Cerchiamo di offrire ai clienti opzioni per migliorare una macchina, eliminare un problema, ottimizzare una soluzione: dispongono così di tutti gli elementi per ottimizzare il funzionamento di una fabbrica.

Ma si parte dal particolare: perché l’imprenditore spesso non ha i soldi per automatizzare la fabbrica. Allora Rextroth parte dalla soluzione al primo problema: in questo modo libera risorse che possono essere destinate a un secondo progetto. Il secondo progetto lo faccio sapendo già in che direzione andare e mi creo anche il budget per il terzo. Questo è il percorso da suggerire alle aziende, altrimenti non saranno in grado di agire. Se sanno dove sono i problemi si riesce a portare avanti una soluzione che inglobi poi tutto», spiega Dambach.

Che poi torna torna prepotentemente sul tema di industria 4.0 all’italiana :«la sfida maggiore sta nello spiegare alla PMI cosa è 4.0, quali componenti servono e quale vantaggio possono trarre dall’ applicazione. Parlando con le PMI l’ostacolo maggiore non è far capire il vantaggio ma è che il titolare di un’azienda, magari da 10 anni in crisi, cerca costantemente di mantenere l’organico, senza preoccuparsi minimamente di fare investimenti. Industry 4.0 comunque non è la panacea: bisogna essere in grado di lavorare con una massa di dati  inusitata. Il know how è fondamentale: inutile investire in tecnologia se non si hanno poi persone in grado di usarla. Perciò abbiamo chiesto a TEC, la nostra scuola di formazione, di sviluppare un percorso formativo di industria 4.0».

Il progetto Bit Bosch Industry 4.0 Talent Program

Il percorso formativo Bosch

Un team dedicato lavora per i clienti che usano la tecnologia Bosch o che vogliono avere formazione. Come si fa? Dambach ce lo spiega? «Dobbiamo partire dai profili: le persone non hanno spesso neppure la conoscenza base per capire la trasformazione che dobbiamo attuare: quindi il primo step è portare tutti al livello minimo per iniziare il percorso vero.Il secondo step è l’assessment, non si fa formazione senza capire su cosa. Nell’industry 4.0 ci sono troppo sfaccettature per poterle affrontare tutte, abbiamo clusterizzato le tematiche così da inviare specialisti qualità, manutenzione produzione, gestori di robot e formare per specifica area. Infine c’è una proof of concept: ognuno deve fare un progetto, soluzione di un problema per applicare la stessa tecnologia ad altri problemi. Non si fa in mezza giornata, ma è un percorso lungo e complesso che richiede tempo.»

E che spesso si scontra con la difficoltà di trovare profili giusti in azienda, sia si tratti di PMI sia di aziende più grandi, «perciò abbiamo lanciato il progetto Bit Bosch Industry 4.0 Talent Program, – spiega Dambach- a cui parteciperanno per due anni 15 neolaureati che frequentano un master al Politecnico di Milano, frutto della collaborazione tra il Cefriel e TEC, la Scuola di Formazione del Gruppo Bosch in Italia. I neoassunti si formeranno per 6 mesi a Blaichach (Germania) presso uno degli impianti d’eccellenza per l’Industry 4.0 di Bosch. Diventando loro stessi formatori, saranno messi a disposizione dei clienti che usano nostri prodotti. Sono i nostri ambasciatori nel mondo delle imprese. Il terzo elemento del capitolo formazione è il networking: è la chiave del successo dell’intero sistema. Se vogliamo arrivare in tempi brevi nel cuore delle PMI dobbiamo condividere storie di successo e di difficoltà. Dobbiamo organizzare eventi dedicati all’industry 4.0 per fare proseliti tra gli imprenditori», conclude Dambach.

 














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