Siemens: così prepariamo a gestire la fabbrica del futuro

Maserati Ghibli

Giuliano Busetto, che in Italia dirige il settore Industry del colosso tedesco, rivela le principali tendenze dell’innovazione manifatturiera.

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Giuliano Busetto, ceo del settore industry di Siemens

“La flessibilità produttiva accompagnata a un rapido ritorno dell’investimento saranno i fattori determinanti del successo delle imprese ove le macchine dialogheranno tra di loro e l’uomo, in un nuovo ruolo evoluto, rimarrà al centro del contesto produttivo e gestionale”. Questa è industria 4.0 secondo Giuliano Busetto, ceo del settore industry di Siemens, il gruppo tedesco che è una delle più grandi multinazionali al mondo, storica rivale europea di Ge. Siemens è la più grande azienda europea non automobilistica con 78 miliardi di euro di fatturato e 360mila dipendenti del mondo. È anche una delle più antiche società europee, fondata nel 1847 e produttrice di tutti i dispositivi meccanici ed elettronici all’avanguardia, che storicamente abbandonava appena diventavano antieconomici. I settori di Siemens sono delle aziende nell’azienda, con la capogruppo che funziona come una sorta di holding. In Italia Siemens ha una presenza storia e importante: genera 1,2 miliardi di fatturato e vanta numerosi insediamenti produttivi. Siemens, in altre parole, è un colosso manifatturiero che supporta le altre aziende manifatturiere.







Software per la fabbrica

Oggi Siemens è anche una società di software industriale, che accompagna chi fa manifattura verso l’industria 4.0. Quel software è gestito dalla divisione guidata da Busetto. “Siemens mette a disposizione dei propri clienti soluzioni integrate di automazione e software industriale per gestire e ottimizzare tutta la catena di creazione del valore”, spiega Busetto. “La nostra Digital Enterprise Software Suite rappresenta una piattaforma unica di prodotti, soluzioni, servizi integrati e competenze lungo l’intero ciclo di vita del prodotto, dall’idea dello stesso, alla progettazione, pianificazione e ingegnerizzazione dei processi produttivi, fino alla produzione e i servizi”.

Ma come è fatta un’industria 4.0? “Lo vedremo da qui ai prossimi venti anni”, dice Busetto. “Un esempio che si presta particolarmente a spiegarlo è quello dell’auto. Oggi la linea di produzione è composta di auto che procedono e robot statici che la lavorano. Tra 20 anni, sulla stessa linea la vettura starà ferma e droni, robot, macchine, la lavoreranno. L’auto, inoltre, chiederà alle macchine ciò di cui ha bisogno per essere assemblata e lavorata”. Il prodotto che indica al robot come deve costruirlo: sembra fantascienza, ma non lo è. Anzi, è realtà in molti casi. “Esistono già prodotti intelligenti dotati di microchip e sensori che consentono l’interazione con la macchina che li lavora: nel prossimo futuro questo porterà all’Internet of things, e a una comunicazione diversa, integrata, tra macchina e oggetto”. La sensoristica, tuttavia, è un singolo aspetto.

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Linea di produzione Maserati a Grugliasco

L’industria 4.0 è un sistema complesso. “Lo spiegherò con un esempio, quello della Maserati, che si basa già sui concetti che sottendono alla rivoluzione industriale che stiamo vivendo oggi: in estrema sintesi, industria 4.0 è simulare un processo produttivo. Un conto è la lavorazione fisica in cui gli oggetti dicono agli antropomorfi come devono essere assemblati, un conto è la versione 4.0 della produzione che vuol dire anticipare il ritorno di investimento, il cosiddetto time to market”, continua Busetto. Ovvero il tempo in cui il prodotto è disponibile alla vendita e l’azienda può monetizzare l’investimento: prima di usare questo approccio Maserati impiegava 30 mesi per passare dal disegno alla produzione fisica dell’auto, ora il tempo è dimezzato.

Collaborazione uomo-macchina

“La linea che usa il software collaborativo anticipa tutto”, racconta il manager. “Ogni componente dei 30mila che servono per realizzare una auto complessa lo progetti con un disegno virtuale in 3D e puoi progettare anche le linee di assemblaggio dell’automobile. Tutto ciò che serve: linee di produzione, di stampaggio, verniciatura, i robot. Una simulazione tridimensionale in cui sono anticipati anche i possibili errori”. Un modello di produzione digitale di quella che sarà la produzione reale. “In parallelo è portata avanti la fase produttiva delle linee che le servono per costruire quella macchina come progettata, il tutto con la perfetta integrazione tra progetto, simulazione e produzione reale”. Un sistema che consente di ridurre il magazzino e di accorciare le tempistiche per qualsiasi manufatto, dall’auto di lusso, all’aereo, all’elettrodomestico, al packaging, all’omino della Lego.

“L’accorciamento dei tempi di produzione è solo un aspetto. Il secondo è la flessibilità delle linee di produzione che consente la personalizzazione del prodotto come richiede, sempre più, il mercato. Una produzione sempre più di massa e sempre più customizzata”, continua il ceo di Siemens Industry. Infine, l’ultima caratteristica di questa innovazione rivoluzionaria è la sostenibilità “sia economica che ambientale. E che il sistema funzioni lo dimostra ancora il caso della Maserati, che ha triplicato la quantità prodotta migliorando la qualità. Di fatto l’aver simulato e virtualizzato la produzione consente di arrivare alla perfezione della stessa”.

Fabbrica digitale di Siemens ad Amberg, Germania
Fabbrica digitale di Siemens ad Amberg, Germania

Scalabilità necessaria

Siemens dal canto suo produce tutto il sistema che accompagna le manifatture verso questa trasformazione. Ma si tratta di una rivoluzione possibile anche per le nostre Pmi, che sono l’ossatura del nostro sistema, ma che spesso sono resistenti alle novità? “In Italia non ci sono moltissime big corporate. La manifattura è tutta composta da piccole e medie imprese. Che devono diventare industria 4.0 per sopravvivere: quindi riuscire ad avere una produzione flessibile e diversificata senza stock, ma integrata. Importante è il concetto di filiera: l’azienda deve chiedersi di quanti componenti diversificati ha bisogno per assemblare il suo prodotto e preoccuparsi che anche i fornitori siano integrati. Le Pmi devono investire su queste tematiche e adattarsi”, dice Busetto. “Prendiamo l’ingegneria: non serve ragionare parcellizzando in base alle branche classiche, meccanica, chimica, informatica. Molto più utile è la trasversalità, l’integrazione tra Ict, meccanica e automazione. Si deve investire innanzitutto nei software di integrazione di progettazione in 3D integrando l’aspetto costruttivo e le automazioni. Le imprese trend setter, anche Pmi, lo sanno e stanno già investendo e così possono mantenere un vantaggio competitivo”.

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Sviluppo della Maserati Ghibli

Manca però una cosa, nel nostro Paese, la politica industriale che potrebbe accelerare questo percorso. “E non solo, ma in ogni caso non bisogna aspettare: alcuni sostengono che senza la banda larga non si possa evolvere. Sono senza dubbio necessari investimenti nelle infrastrutture dirette. Ovviamente senza connessione rapida non è possibile trasmettere dati complessi, ma ciò non vuol dire che dobbiamo aspettare la banda larga per decidere investimenti sulle tematiche riguardo la smart factory. Invece, è necessario investire nell’integrazione, nell’automazione e nelle tematiche che riguardano un modello digitale dell’aspetto produttivo. La politica industriale può aiutare, certo. Quando in Germania hanno lanciato questo concetto del 4.0 lo hanno fatto in maniera molto strutturata, con la partecipazione di imprese, associazioni e governo. Hanno tutti lavorato secondo un concetto integrato. In Italia non è così: esistono migliaia di enti super parcellizzati e manca un’organizzazione strutturata che porti avanti questo discorso. Manca un tavolo dove tutti possano lavorare allo stesso modo. Per il resto, in Germania sono stati investiti 40 miliardi di euro all’anno per quattro anni, la Francia ha investito 5 miliardi per 2mila progetti nell’industria 4.0, auspichiamo che ci sia un piano programmatico che avvicini anche le nostre Pmi a questo mondo”.














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