Belluno: occhiali hi-tech per sfidare i giganti

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Di Laura Magna ♦ Blackfin con la sua ricerca sul titanio. Eblock con il fissaggio delle lenti senza viti.   Mad in Italy con sistemi di montaggio innovativi. Ecco i piccoli grandi marchi dell’occhialeria

Luxottica, Safilo, De Rigo, Marcolin. Le grandi aziende del settore sono tutte là. Ma la rivoluzione parte dal basso, da piccole realtà poco note, dai terzisti (ex o ancora tali) delle grandi aziende, quelli sopravvissuti alla crisi, che hanno saputo affrancarsi dalla fornitura attuando una nuova strategia: entrare nel mercato internazionale con linee di occhiali proprietarie, innovative, basate su una ricerca spinta condotta rigorosamente in house, come tutta la produzione. Un approccio che potrebbe dare nuovo gas al settore, se è vero, come sostiene il presidente di Anfao (l’Associazione Nazionale Fabbricanti Articoli Ottici di Confindustria) Cirillo Marcolin che nel mondo aumentano i «consumatori sofisticati, che cercano un prodotto proprio perché è italiano, e, in quanto tale, sono disposti a spendere».







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Archivio Museo dell’ Occhiale, Pieve di Cadore

Tra Agordo e Cadore: le valli che competono per la crescita dell’occhialeria

Un rapido sguardo dentro al distretto, nelle valli tra Agordo e Cadore dove  la produzione di occhiali vanta una lunghissima tradizion , mostra una realtà viva e vitale: nel 2015 le società di occhialeria erano 870 con 17.245 addetti per una produzione che valeva oltre 4,4 miliardi (+12,5% rispetto al 2014). I numeri li pubblica l’Anfao che sottolinea pure come nel primo semestre del 2016 l’export sia cresciuto anno su anno del 4,7% e il mercato nazionale del 6,5%: dati positivi ma che mostrano un rallentamento rispetto alla doppia cifra degli ultimi 24 mesi.  Dunque, la competizione si fa serrata e si può restare in campo solo avanzando e offrendo al consumatore finale un quid in più.

Blackfin, il titanio forgia il “neo Made in Italy”

Le storie che lo dimostrano iniziano tutte negli anni Settanta. La prima è quella di Maria Pramaor che nel 1971 fonda l’azienda che porta ancora il suo cognome e che oggi produce con  il marchio Blackfin. Maria era un’operaia di Leonardo Del Vecchio, il patron di una delle poche multinazionali genuinamente italiane, Luxottica, che dal suo ex datore di lavoro venne aiutata a mettersi in proprio: Del Vecchio le fornì i dipendenti e i primi contratti e ogni cosa di cui avesse bisogno. Non che la cosa debba stupire, visto che lo stesso inizio di Del Vecchio fu da terzista. Oggi l’azienda realizza montature in titanio sotto la guida del figlio di Maria Pramaor, Nicola Del Din e punta sulla qualità totale e sulle tecnologie digitali.

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Occhiali Blackfin
Il digitale al servizio del customer care

«Ci riforniamo della materia prima in Giappone, per avere il titanio più puro al mondo – dice a Industria Italiana Del Din, amministratore delegato di Pramaor.- La nostra forza sta nella conoscenza profonda della materia prima: ecco perché le aste che devono essere flessibili sono realizzate in beta-titanio mentre i frontali sono ricavati da una robusta lastra di titanio puro». Tutta la ricerca e la produzione avviene in Italia, anzi, nel distretto di Belluno. «Il titanio è resistente come l’acciaio ma il 40% più leggero – continua Del Din – pesa il 60% in più dell’alluminio ma con una resistenza doppia. Si tratta di un materiale biocompatibile, atossico e anallergico, caratteristiche che ne hanno favorito l’utilizzo, fin dalla sua scoperta, in settori che richiedono prestazioni fisiche d’eccellenza, come l’aeronautica e l’aerospaziale, l’ambito della difesa o quello medico».

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Nicola Del Din, Amministratore Delegato Pramaor

Nel 2016 Pramaor ha rafforzato il reparto produttivo, a giugno ha inaugurato una sede  più vasta e presentato il servizio di costumer care potenziato  attraverso un’applicazione digitale personalizzata. Nel 2015 il fatturato si è attestato a 6,2 milioni di euro, in crescita del 27% sull’anno precedente. È trainato soprattutto dalle esportazioni – che rappresentano il 75% delle vendite – in aumento del 38% a quota 4,7 milioni. Positivo anche l’andamento del mercato interno, dove l’azienda ha registrato una crescita del 14% nonostante la persistente stagnazione generale dei consumi. «Anche nel 2016 stiamo crescendo molto: +32% nei primi sei mesi.  – dice Del Din – Stiamo ulteriormente rafforzando la distribuzione diretta e stiamo aprendoci a nuovi Paesi».

Una piccola che ragiona da multinazionale

Pramaor, che conta 56 dipendenti e 22 agenti diretti, vende le collezioni Blackfin in quasi 40 Paesi nel mondo (soprattutto in Europa, Nord America e Far East) in modo diretto o attraverso distributori. Del Din sostiene che la sua sia una start-up di 45 anni e il suo obiettivo quotidiano è dimostrare che la produzione delle manifatture di qualità può e deve restare in Italia: lui lo chiama neo made in Italy. « È un modo di pensare e di lavorare innovativo – continua l’amministratore delegato – un approccio fatto di passione, serietà, rispetto e attenzione verso chi lavora e verso l’ambiente in cui si lavora, con la consapevolezza del valore inestimabile che proviene dall’essere italiani e dal vivere in uno degli angoli più suggestivi d’Italia. Siamo una piccola azienda italiana, ma dobbiamo avere una mentalità da multinazionale».

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Occhiali Eblock
Som Eyewear: chiudere una crisi con un giro di vite

Un’evoluzione del tutto simile è quella sperimentata dalla Som Eyewear, fondata da Giovanni Sommavilla e fornitore principale della linea Armani per Safilo. Lo sviluppo di un marchio proprio viene realizzato a partire dal 2012: provvidenzialmente visto che, nel 2013, Safilo perde la linea Armani, che finisce a Luxottica, con  Som che vede il proprio fatturato ridotto del 30%. EBlock, gli occhiali di Som, sono la soluzione a quella che sarebbe potuta essere una crisi pesante: la caratteristica innovativa sta in un sistema di chiusura a blocchetto che rende semplice e sicuro il fissaggio delle lenti. La sostituzione delle lenti avviene grazie all’utilizzo di una chiavetta, abbinata a un distanziatore di precisione, che fissa il blocchetto al posto della vite e regola la chiusura del cerchio dell’occhiale.

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Occhiali Som

Oggi Tiziana, Francesca e Giovanni, moglie e figli di Giovanni che hanno preso in mano l’azienda nel 2014, alla morte del fondatore, hanno realizzato il  pieno recupero del giro d’affari. Som attualmente ha due sedi produttive nelle quali lavorano complessivamente circa 80 persone: una trentina di addetti è nella sede di Calalzo, lo stesso paese del quartier generale di Safilo . L’azienda  ha chiuso il 2015 con un fatturato di oltre 5,5 milioni di euro (+4% sul 2014, che si era incrementato già del 36% sul 2013), e con quasi 400mila pezzi prodotti all’anno. Il volume di affari è in rapida crescita e farà registrare un +20% nel 2016 con degli ordinativi per il 2017 che portano la previsione di volume di affari attorno agli 8 milioni di euro. L’obiettivo a breve termine è arrivare a 10 milioni attestandosi su un tasso di crescita del 20% annuo.

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Occhiali Vista Eyewear
Vista Eyewear: l’invenzione dell’occhiale fototranciato

Ad Alano di Piave troviamo  Vista Eyewear, anche questo un terzista, che continua a  fare il terzista ma che ha differenziato creando un marchio proprio, Mad in Italy. La produzione è realizzata interamente in Italia ed è basata su una ricerca in house molto spinta. Dai laboratori di Vista il è uscito il primo occhiale fototranciato, realizzato usando un processo produttivo che si basa sull’asportazione controllata del metallo a mezzo di soluzioni chimiche, una tecnica che consente di dare vita a geometrie complesse e a spessori minimi, tra 0,05 e 2 millimetri. Da qui arrivano la prima montatura in bronzo fresato; speciali contaminazioni tra materiali: astine di acciaio e gomma sovrainiettata, o flessibili senza viti. E poi i brevetti, l’ultimo relativo a un sistema che in fase di montaggio della lente permette all’ottico di non togliere la vite dal suo alloggio, eliminando il rischio di perderla .

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Progetto Porte Aperte: Vista Eyewear mostra come avviene il processo di lavorazione dell’occhiale

Alla conquista dei centri ottici italiani

In questo modo di innovare,  secondo l’amministratore delegato Giorgio Miotto,  consiste il principale vantaggio competitivo dell’azienda che nel 2015 ha incrementato il fatturato del 14%, a quota 5 milioni di euro. Nel primo semestre del 2016 la crescita è stata del 10% e l’obiettivo è chiudere l’anno a +25%. «Vogliamo conquistare il 10% dei quasi 10mila centri ottici presenti sul territorio italiano – spiega Luca Marinello, direttore commerciale Italia – tra le linee Mad più richieste dal mercato italiano c’è Mad in Italy Up con modelli di occhiali con frontale in nylon, materiale flessibile e resistente, leggerissimi (solo 6 grammi) grazie al beta titanio senza nichel sul corpo asta». L’elenco potrebbe continuare a lungo. Ma ognuna di queste storie racconta, in fondo, sempre la medesima storia: che solo l’innovazione, il coraggio e la capacità di investire e proiettarsi nel futuro possono far vivere un settore e un distretto industriale.














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